Il mistero buffo di Dario Fo (nell’umile versione pop)
Il nostro amico Simone ha assistito al nuovo spettacolo teatrale di Paolo Rossi al Teatro delle celebrazioni a Bologna: ci manda una recensione che volentieri pubblichiamo.
Ricordiamo che lo spettacolo sarà in replica a Milano dal 4 al 30 maggio al Teatro Strehler.
“Si arricchisce di un altro straordinario spettacolo la lunga e incredibile carriera di Paolo Rossi. E’ il Mistero Buffo di Dario Fo nell’umile versione POP come dichiarato dall’artista stesso: “Questo mio Mistero Buffo, che non è mio, ma a tutti ormai appartiene, vuole essere un omaggio al mio maestro Dario Fo che ormai la storia rappresenta e nella mia umile versione Pop, alla strada che tuttora io frequento. Non potendo Dario né imitarlo né copiarlo, né fingere, d’essere altro da me, sarà un viaggio che spero con le repliche il pubblico migliori, così come fece, mi disse Dario, con il suo Mistero”.
Consapevole dell’unicità dell’arte di Fo, P.Rossi stupisce il pubblico del “Celebrazioni” con una grandiosa rilettura dello spettacolo andato in scena per la prima volta nel 1969; una volta di più emerge la preparazione e l’intelligenza artistica dell’artista nato a Monfalcone, la narrazione drammaturgica infatti viaggia su due percorsi paralleli: i racconti di Fo e quelli inediti di Rossi. L’obiettivo comune è sempre quello della povera gente, degli umili,“gli unici veri protagonisti del buono e cattivo tempo della nostra società di ieri e d’oggi” afferma Rossi, che nello spettacolo attualizza la figura del giullare medievale, interprete dei malumori del popolo verso i detentori del potere.
E’ senza dubbio questo l’aspetto più significativo dello spettacolo, il tentativo cioè di recuperare le radici del Teatro Popolare, i lazzi, i vecchi meccanismi d’improvvisazione, gli sketch, i trucchi del mestiere, le storie e i canovacci con un coinvolgimento diretto del pubblico in sala, continuamente sollecitato dagli interventi sempre divertenti e mai banali dell’attore nel corso di tutta la rappresentazione.
I temi affrontati risultano come detto arricchiti di aneddoti e riflessioni contemporanee, il testo di Fo diventa, ancora una volta, pretesto per parlare dell’oggi con un’attualità disarmante. Dell’originale rimangono in sostanza solo due ‘giullarate’ (“La nascita del giullare” e “La resurrezione di Lazzaro”) e la parlata in Grammelot* con inflessioni ferraresi (per il tempo trascorso da Rossi nella città estense) a differenza dell’originale utilizzato da Fo certamente più nordico.
Significativi e non meno importanti risultano l’accompagnamento musicale del Maestro Emanuele Dell’Aquila, spalla ideale di Rossi e la scenografia, semplice ma molto efficace nell’inquadrare i temi proposti.
Toccante è il finale, la riflessione sulle responsabilità della Chiesa, su un Cristo che oggi sarebbe un bambino annegato nei pressi di Lampedusa, la crocefissione dell’immigrato scomodo, il paradosso di una religiosità che non c’entra niente con la carità cristiana: tematiche in fondo conosciute, ma che così riproposte fanno molto riflettere. E commuove quasi il saluto finale di Paolo Rossi, segno della croce e pugno alzato.
Assolutamente da non perdere.”
Simone Rota
*Il grammelot è uno strumento recitativo che assembla suoni, onomatopee, parole e fonemi privi di significato in un discorso. Gli attori utilizzavano e utilizzano il grammelot con il fine di farsi comprendere anche senza saper articolare frasi di senso compiuto in una lingua straniera, oppure per mettere in parodia parlate o personaggi stranieri. Ciò che ne risulta è una recitazione fortemente espressiva e iperbolica. Il linguaggio usato acquisisce inoltre un surplus di espressività musicale, in grado di comunicare emozioni e suggestioni.