Maternità, una poesia di Anna Scapolo
Per Anna Scapolo vivere in un luogo è dialogare con le anime che lo popolano, siano esse di persone o di alberi frusciati dal vento, è cogliere lo spirito che plasma l’unicità del suo crogiuolo.
E lo sguardo di Anna si vena di severità per la fissità che cristallizza e raffredda i rapporti umani della propria esperienza, anche se il componimento non si arrende allo sgomento e fa guizzare un accorato appello a non cedere all’ipocrisia e al non dialogo. Ritorna sì la struggente nostalgia per l’età aurea della propria infanzia, delle proprie radici mai estirpate dalla terra dei padri, ma come una madre che allatta il proprio figlio, trova anche la forza di nutrire il luogo del proprio presente, affinché i fanciulli possano diventare uomini e trovare il proprio cammino, maturo, oltre la collina.
MATERNITA’
Silenzio spalmato
sulla collina
ai margini del bosco
dove alberi
mossi dal vento felice
per lontane canzoni
si lasciano cullare senza sosta.
Silenzio che si fa sera.
E paese ridente,
ma solo,
di anime ferme e mute
forse per antiche oppressioni
o per spazi di libertà negata.
Silenzio e attesa.
Attesa di un volo
che sia novità
o maturità consolante
dell’uomo che cresce
e non si ferma
tra tanta ipocrisia.
Dolce e soave
era il mio nido
casualmente trovato
tra scogli sconosciuti.
Dolce e soave
forse anche ora
nella maturità
degli anni che passano
e trovano un riposo
ai tanti pensieri
che mai ti lasciano.
Come passarti
quest’onda di pace
se tu distratto non ascolti?
Come far fiorire
l’uomo che in te vive
e si nasconde
tra meandri di fanciullo?
Almeno ascolta il respiro
a volte trattenuto
per uno sconosciuto fato.
Almeno odora ancora
il latte del seno che ti volle sfamare
e dove un cuore batterà
per te, sempre.
Oltre la collina
sarà il tuo cammino.
Anna Maria Scapolo
(foto: Street by Mario Jean)
Cara Anna,
la tua poesia mi ha commosso perché ho sentito salire da essa il grido sofferente e deluso della tua anima ahimè troppo sensibile per essere compresa appieno e quindi destinata, pur nella speranza, ad una continua sofferenza.
Angelo ha saputo spiegarci in modo magistrale il contenuto lirico della tua poesia.
Entrambi ci avete arricchito il cuore, spingendolo ad un esame di coscienza dove il moderno, egoistico modo di vivere soffoca la capacità di prestare attenzione a chi ci chiede anche solo di essere ascoltato.
Bella anche la tua poesia “Già ci sei”, dove la Madre non si arrende al dolore ma continua a vivere facendo crescere il ricordo e l’amore che la fa soffrire. Ha riportato alla mia mente “Pianto antico” di carducciana memoria là dove tuttavia lo sconforto uccide la speranza.
Grazie.