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Dicembre: lancio di una iniziativa che vuole essere una ricetta di cuore

Crisi, default, impoverimento, ingiustizia. Siamo schiacciati da qualcosa che non governiamo.

E’ molto più facile che siamo distratti e mangiamo senza dare valore al cibo che compriamo e cuciniamo.

E proprio nel momento dell’anno in cui mangiare insieme può essere un’occasione per rafforzare legami e dare risalto a valori e sentimenti …

Riflettevo sul fatto che il sentimento più bello del Natale è collegato spesso nei nostri ricordi ad un cibo particolare condiviso con chi ci vuole bene.

Se penso ad esempio al Natale della mia infanzia, tra lo scintillio dell’albero di Natale, la sorpresa dei regali, la magia dell’inverno, il presepe, riaffiora in me un sapore che il tempo non ha cancellato: quello del piatto tradizionale che tutti gli anni la mia nonna preparava con gesti rituali e per me bambina quasi magici: i casoncelli bergamaschi.

Sedersi a tavola mentre lei portava in tavola il tegame fumante e profumato era un rito che riuniva tutti.

Ecco perché mi piacerebbe lanciare questa iniziativa.

Penso che molti come me siano legati ad un piatto tradizionale di Natale.

Potete condividerlo con tutti noi, per dare vita ad un grande menu di Natale della comunità di Monte Marenzo?

E’ come se mangiassimo festosamente tutti insieme, in questo momento in cui è forte il rischio di disgregazione e solitudine.

Vincent Van Gogh -I mangiatori di patate

5 pensieri su “Dicembre: lancio di una iniziativa che vuole essere una ricetta di cuore”

  1. RICETTA DELLA PINZA COME LA FACCIO IO, IMPARATA A PIANZANO IN PROVINCIA DI TREVISO.

    GR 200 BURRO
    1 BICCHIERE LATTE
    GR 300 UVETTA
    GR 500 NOCI (IL PESO E’CON IL GUSCIO)
    GR 300 FARINA DA POLENTA GIALLA
    GR 300 ZUCCHERO
    UN PIZZICO DI SALE
    GR. 2/300 ZUCCA LESSATA (QUESTO INGREDIENTE RENDE LA PINZA MORBIDA)
    ALCUNI FICHI SECCHI
    SCORZA GRATUGGIATA LIMONE
    UN BICCHIERINO DI GRAPPA
    UNA BUSTINA DI LIEVITO
    FARINA BIANCA 00 QUANTO BASTA

    In una pentola mettere il latte ed il burro, scaldare fino a che si scioglie, aggiungere la farina gialla e dare una scottata per alcuni minuti. Aspettare che il composto si raffreddi e aggiungere tutti gli altri ingredienti sempre messcolando (i fichi e le noci vanno spezzettati). La farina bianca io la metto a occhio cioè vedo se la pinza è troppo molle aggiungo circa un etto o qualcosa in più. Mescolare bene il tutto. Io cucino la pinza in una casseruola rettangolare con sotto la carta forno per circa un’ora a forno ben caldo.
    (Nei panifici dalle mie parti si trova la pinza con dentro anche i semi di finocchio).

    Volevo ggiungere che la tradizione del panevin è ancora attuale dalle mie parti e ogni contrada al mio paese, o nei paesi limitrofi, allestisce un falò. La pro-loco locale bandisce un concorso premiando il panevin più alto o quello più accogliente perchè naturalmente intorno si canta si balla si mangia si fa festa e tutti contribuiscono a preparare qualcosa.

  2. grazie di cuore Anna Maria e Sergio: E’ proprio questo che volevo che avvenisse: scaldarci a vicenda i cuori con questi racconti veri di Natale: ho sentito anch’io il sapore della cioccolata calda ed il profumo del vin brulè. E poi questa nonna, questo papà, così intensamente presenti.
    Sarebbe bello rivivere il rito del falò che in Veneto era molto presente. Si bruciava la “vecia” nel Bellunese. Senz’altro voglio conoscere la ricetta della pinza, voglio provarla. Grazie

  3. Allora se è così anch’io ho tanti ricordi del Natale. Anzitutto il pranzo a casa dei nonni, tutti insieme. La nonna preparava un pollo arrosto che non ho più mangiato in vita mia, era cotto a puntino nel forno della sua vecchia stufa a legna, oseri dire dorato, con il giusto sughetto. Primo piatto le lasagne che noi chiamiamo pasticcio e poi quella verdura messa via nei vasi che chiamavano giardiniera, ma che non era come quella che si compra. Chissà che fine ha fatto la ricetta?? Poi il panettone e il vino fatto in casa. Alla sera ancora una tavolata di gente perchè arrivavano zii e cugini e poi, siccome eravamo tutti in età scolare, via con la poesia o la canzone di Natale imparata a scuola. Ma il periodo di Natale per me voleva dire anche il panevin, ossia il falò, fatto la vigilia dell’Epifania. Questo fuoco era acceso nel campo con la legna ricavata dalla potatura delle viti e intorno tutti noi con il vin brulè e la pinza, una focaccia tipica del Veneto fatta con farina di polenta, frutta secca, zucca eccetera eccetera. Se siete interessati posso passare la ricetta. E c’era una filastrocca che diceva:

    Se al fogo al và a matina
    ciol su al sac e va a farina
    se al fogo al va a sera
    polenta pien caldiera.

    Avete capito?

    Se le fiamme del fuoco andavano verso est si prevedeva un anno magro per cui “prendi il sacco e vai in cerca di farina o di fortuna”. Se invece le fiamme del fuoco andavano verso ovest si prevedeva un anno di abbondanza per cui “un paiolo pieno di polenta”.

    E poi naturalmente durante la notte passava la Befana riempendo le calze appese sotto il camino piene di cose buone.

  4. Sì Anna Maria, credo che Marilena voglia esattamente questo. Condividere cibi e ricette “del cuore”, sapori e profumi che ci rimandano a ricordi dello stare insieme in questo speciale periodo dell’anno denso di significato.
    Io non ho una ricetta particolare. Figlio di un siciliano e di una lombarda, la tavola era spesso una contaminazione culturale.
    Ma ricordo perfettamente un rito che avveniva puntualmente per la colazione del mattino di Natale.
    Mio padre si alzava e preparava una cioccolata densa, quasi solida, scura e buonissima.
    E’ questo il sapore del ricordo.
    Io e i miei tre fratelli andavamo in cucina dove mia madre aveva già acceso la stufa economica sulla quale mettevamo le bucce dei mandarini che spandevano un odore dolce e il profumo della terra di mio padre.
    Chissà perché ma ho un ricordo di inverni più inverni di quelli di ora, più freddi. Mia madre a volte ritirava i panni stesi fuori in terrazzo completamente ghiacciati, duri come uno stoccafisso.
    Trovavamo i regali sotto l’albero. Pochi doni che ci sembravano bellissimi.
    E poi sorbivamo quella cioccolata speciale, perché era fatta da papà e lo era veramente speciale, fatta ad arte.
    Così il rito della cioccolata si ripeteva a capodanno, insieme a una moneta che ci veniva data dopo aver recitato una filastrocca. Come iniziare meglio un anno nuovo?

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