La fine del giorno
Tempo fa, io e Beppe Dell’Oro, senza esserci sentiti, abbiamo avuto un pensiero comune.
Entrambi, in modo indipendente, stavamo valutando di proporre all’Amministrazione di Monte Marenzo di istituire, presso il Municipio, un registro (in forma assolutamente riservata) dei testamenti biologici dei nostri concittadini che intendessero lasciare scritte le proprie volontà in termini di “fine vita”.
Per convinzioni strettamente personali derivate da riflessioni, da fatti di cronaca, per esperienza vissuta o conosciuta, ci siamo convinti dell’importanza di poter formulare un “testamento biologico” quando si è nel pieno delle facoltà di intendere e di volere e della necessità di uno strumento per rendere concreto il desiderio bioetico di una morte naturale (senza accanimenti terapeutici) anche in presenza di uno stato di non coscienza, come, per esempio, in caso di vita vegetativa.
L’idea è di molti mesi fa, ma non abbiamo poi fatto seguito a questa nostra personale convinzione con una proposta concreta.
Qualche giorno fa ritorno a casa sua per parlarne in modo più approfondito. Gli chiedo perché la pensa così.
Beppe: “Governano questa convinzione alcuni principi. Ritengo che il livello più alto della dignità umana consiste nell’esercizio della libertà, compresa quella su sè stessi. Anzi prima di tutto quella su sè stessi: quale libertà sarebbe mai se non si può deliberare su di sé?
Quindi nessuno può costringere un altro a soffrire. E se questo avviene, la cosa ha un nome: tortura. Tanto meno può costringere alla sofferenza uno Stato laico che deve essere la casa ove tutti si sentono accolti e rappresentati.
Lo dice anche la nostra Costituzione (Il secondo comma dell’art. 32): Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Sergio: “Sono d’accordo, però non ci sono ancora leggi che consentono di dar seguito ad una scelta personale, anche se scritta in un testamento biologico. Anzi, il Parlamento e molta politica hanno giocato su questa delicata materia in maniera sporca, per fini elettorali, per dividere avversari. Non è un’opinione solo mia, persino il settimanale Famiglia Cristiana la scorsa settimana ha espresso un giudizio critico. Vi si legge che la vita viene usata come merce di scambio, i valori come manganelli politici, il dolore come strumento di confronto (o di ricatto) parlamentare. Questo sta succedendo, in Italia. E accade attorno al tema, ancora irrisolto e sempre spinoso, del testamento biologico. Perché la maggioranza di governo vuole blindare il testo sul fine-vita per “stanare” i cattolici del Nuovo Polo e dividerli dall’ala laica. Nelle prossime settimane prevedo un nuovo rilancio della questione, un nuovo muro contro muro, sempre in un’ottica elettorale e non in quella di un esame giuridico e costituzionale del problema.”
Beppe: “Non solo per dividere avversari, ma anche per ingraziarsi le Gerarchie della Chiesa. E la stessa Chiesa, alla quale nessuno nega che debba avere una sua linea etica sui temi della vita e della morte, ha tentato di imporre la sua visione non attraverso l’azione pastorale, ma facendo pressioni dirette persino sul legislatore, violando la sua missione, il Concordato e la Costituzione che la vuole “indipendente e sovrana” ma nel suo “ordine”. Vedi il caso di Eluana Englaro”.
Sergio: “Non giudico l’atteggiamento della Chiesa, quello che mi interessa, come cittadino italiano, è il ruolo della politica. In attesa di una legge che il Parlamento non “riesce” a varare, molti comuni (oltre 60) hanno istituito un “Registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento” (testamento biologico). Lo scopo è di rendere noto che una persona, in un dato giorno, ha espresso la sua dichiarazione e questa è custodita in un dato luogo. Il documento potrà essere utilizzato qualora si volesse accertare la volontà della persona: il giudice può ricostruirne le intenzioni (scritte nel pieno delle facoltà di intendere e volere), evitando così altri casi come quello di Eluana. Non si riconosce di certo il diritto all’eutanasia, se questa è la paura o la perplessità.”
Beppe: “Però, il 19 novembre scorso, i Ministri Fazio, Sacconi e Maroni, hanno promulgato una circolare con la quale si dichiara illegittima l’attività di raccolta da parte dei comuni dei testamenti biologici. Provvedimento che molti esperti di diritto amministrativo ritengono errato e privo di base giuridica.
Ed ora c’è una sentenza del tribunale di Firenze che accoglie il ricorso di un settantenne in perfetta salute al quale viene consentito di nominare un “amministratore di sostegno”, una sorta di tutore legale a cui viene affidato un compito preciso in caso di perdita di coscienza, può a norma di legge, impedire ai medici di procedere con la rianimazione o anche con alimentazione e idratazione artificiale.
Dato che anche la nostra Amministrazione è sensibile ai problemi personali di rilevanza etica vorremmo proporre anche per Monte Marenzo il registro dei testamenti biologici.”
Sergio: “Non tutti capirebbero questa scelta. Ma credo sia necessario almeno cominciare a discuterne. Sondare se la nostra opinione è condivisa da altri cittadini di Monte Marenzo e, se sì, diverrebbe legittima una richiesta forte all’Amministrazione.
Sarebbe interessante, intanto, conoscere il pensiero di chi frequenta il nostro sito.”
Torno a casa al tramonto. Il sole scende dietro le colline. E il cielo, le nubi, la nebbia fanno da cornice ad un sole ormai pallido.
Nel nostro colloquio io e Beppe abbiamo solo sfiorato il problema etico del “fine vita”. Per approfondirne tutti gli aspetti non basta un breve spazio sul nostro sito. Si sono scritti centinaia di libri, sia dal punto di vista laico che da quello etico e morale. Paolo VI scrisse: “In tanti casi non sarebbe una tortura inutile imporre la rianimazione vegetativa nell’ultima fase di una malattia incurabile? Il dovere del medico consiste piuttosto nell’adoperarsi a calmare la sofferenza, invece di prolungare più a lungo possibile con qualunque mezzo e a qualunque condizione una vita che va naturalmente verso la sua conclusione”. Giovanni Paolo II nell’ultima giornata della sua vita rifiutò anche per sé l’accanimento terapeutico. Esso contrasta con la dignità della persona umana, che non va mai sottoposta a trattamenti sproporzionati e senza speranza.
Ora il sole è definitivamente calato. Nessuno l’ha fermato nel suo moto naturale. Tra poco sarà buio e il tramonto che osservo è la fine naturale del giorno.
(La foto nel riquadro “La fine del giorno” è stata scattata da Monte Marenzo il 14 gennaio 2011 alle ore 16,44 da Giorgio Toneatto).
La Fondazione Ciceri Losi ha organizzato per lunedì 7 marzo 2011 presso lOfficina della Musica in Lecco, Pescarenico, Via Plava 5, un convegno su un tema di attualità il Testamento Biologico
Relatori:
• Prof. Valerio Pocar area laica
• Dott. Vittorio Bellavite area cattolica
• Beppino Englaro
• On. Lucia Codurelli che illustrerà liter legislativo del progetto di legge relativo.
Ecco il link al volantino:
https://www.unpaeseperstarbene.it/wp-content/uploads/2011/01/Testamento-biologico-Fondazione-Ciceri-Losi.pdf
Oggi su Repubblica online ho trovato un articolo su questo tema, in cui si segnala la presenza di un disegno di legge di prossima discussione alla Camera che negherebbe il principio di autodeterminazione, negando ai cittadini la possibilità di scegliere.
http://www.repubblica.it/politica/2011/02/21/news/saviano_testamento_biologico-12721181/?ref=HREC1-3
Qui vi linko anche il sito della raccolta firme.
http://autodeterminazione.nobavaglio.it/index.php
Riporto qui alcune note d’Agenzia:
Nasce sotto il segno delle polemiche la prima Giornata nazionale sugli stati vegetativi che, per volontà del governo, si celebrerà oggi, 9 febbraio, proprio nel giorno dell’anniversario della morte di Eluana Englaro.
Una condizione, quella dello stato vegetativo, considerata un “accanimento terapeutico” dal padre di Eluana, Beppino, e invece ritenuta una forma di “disabilità” dall’esecutivo che, proprio per informare e sensibilizzare l’opinione pubblica, ha deciso di indire una Giornata nazionale. Ma la scelta del 9 febbraio come data di celebrazione è giudicata quanto meno “”inopportuna ma soprattutto indelicata” da Beppino Englaro e varie associazioni. Così, l’iniziativa ha finito per dividere più che sensibilizzare.
Ecco, come avevamo detto con Beppe la strumentalizzazione su questo tema continua.
D’altra parte come stupirsene se il capo del Governo, Berlusconi, che di donne se ne intende (Sic!), affermava giusto due anni fa, sulla vicenda Englaro, che “Eluana avrebbe potuto concepire…” (ma questa non è una bestemmia?).
Ieri sera si è riunita Upper.
Noi di Upper stiamo bene insieme, ridiamo e scherziamo. Ieri sera però dopo un po’ ci siamo fatti seri ed abbiamo affrontato un tema antico e diffusissimo in tutto il mondo, ma che capita solo una volta nella vita di ognuno: sorella morte.
Nascita, vita, morte sono passaggi obbligati, anche quest’ultimo, anche se non ci crediamo. Toccarsi in vari posti, fare gli scongiuri, pensare ad altro non sembra mutare qualcosa, ed allora ho deciso di partecipare alla riflessione. Tutti desideriamo per noi stessi e per i nostri cari, persino per il nostro cane, una agonia breve ed una morte dignitosa e serena, rispettando il mistero che circonda la fine della vita. Nessuno di noi aveva certezze da proporre, ma solo umane riflessioni da condividere.
marilena
Ringrazio Sergio e Beppe di aver avviato una riflessione su un tema tanto delicato (il cosiddetto testamento biologico) e contemporaneamente tanto semplice da risolvere. Stiamo parlando di un principio così profondamente umano (nel senso che appartiene totalmente all’intimità dell’essere), che c’è da stupirsi a vederlo rappresentato e temuto al pari di uno spettro: è il rispetto della volontà della persona a decidere se continuare o sospendere i trattamenti sanitari che lo riguardano.
Pertanto, la proposta di istituire un registro comunale per i testamenti biologici la condivido e la sosterrò all’interno dell’Amministrazione comunale. Il perché non è presto detto, anzi, mi scuso in anticipo per il notevole spazio che mi prendo nell’area commenti, ma le ragioni dell’adesione hanno bisogno di un respiro lungo per essere spiegate.
Innanzitutto premetto che il mio contributo alla riflessione non ha alcuna pretesa di accreditare verità incontrovertibili, anzi, è la semplice ricognizione, qui ed ora, su un tema per il quale è bene non porre mai la parola fine, perché sarebbe come considerare esaurita l’evoluzione del pensiero e della pratica umana, quando, per quanto mi riguarda, c’è un tale carica di mistero sul “da dove veniamo e dove andiamo, e perché” che saggezza impone di non considerare mai esaurite e ultime le domande e le risposte su argomenti di questo genere.
Le cose che dico non sono inedite, ma la sintesi di un ragionamento sviluppato in più occasioni e che, tra l’altro, ha contribuito a formare i pronunciamenti in Parlamento della deputata Lucia Codurelli.
In gran parte sono conseguenza della storia di Eluana Englaro, vicenda che mi ha colpito profondamente. Ho conosciuto personalmente Beppino Englaro e con lui ho toccato con mano cosa significa rinnovare ogni giorno e per oltre seimila giorni la morte della figlia, cosa significa vederla sospesa per un tempo indeterminato in una agonia senza ritorno, dopo che per anni hanno fatto tutto quanto fosse umanamente possibile fare affinché questo corpo ritornasse ad una vita consapevole dopo un terribile incidente. Ho colto come a questo dolore si aggiungesse lo strazio e l’impotenza a far rispettare la volontà di Eluana, la quale, nel pieno della sua giovinezza e salute, manifestò in ripetute occasioni il rifiuto ad accettare una condizione di “coma” (come si affermava genericamente all’epoca), simile a quella in cui ebbe a trovarsi un suo amico.
Sappiamo bene quanto sia estremamente difficile dettare regole che disciplinino i momenti della nascita e della morte. Lo dimostra il fatto che, in questi anni, non sia stato sino ad ora possibile promulgare una legge sul testamento biologico. Un codice che affermi il principio dell’autodeterminazione del paziente rispetto alle pratiche terapeutiche che vengono usate nelle fasi terminali della vita e negli Stati Vegetativi Permanenti e irreversibili.
Ogniqualvolta ci si mette mano emergono puntualmente i tentativi di sostituire ad un diritto intimo e personalissimo dell’individuo i convincimenti filosofici e religiosi, o peggio gli opportunismi politici della maggioranza parlamentare di turno, finendo tra l’altro per annullare il dettato della Costituzione che, in particolare agli artt. 2, 3, 13 e 32, affida alla persona la libertà di scegliere tra le diverse possibilità o modalità di erogazione del trattamento medico che lo riguardano, ma anche eventualmente di rifiutare, o interrompere, le terapie.
Non esiste, come si tenta di far credere, un partito favorevole alla vita e uno contrario. In realtà ci sono visioni diverse su come affrontare le fasi terminali della vita, che si possono riassumere tra quanti ritengono che tutte le decisioni in ultima istanza spettino al malato (ovvero al tutore nominato dall’interessato), e tra chi reputa invece opportuno che alcuni atti medici e paramedici possano essere sottratti alla volontà del paziente.
Le mie convinzioni mi portano a difendere strenuamente l’autodeterminazione della persona che rifiuta l’accanimento per tenere artificialmente in funzione un corpo dolo vegetativo, soltanto biologico. Però – e qui sta una questione sostanziale, una concezione di alto profilo umano ed etico in cui mi riconosco – io non pretendo, non voglio imporre agli altri individui scelte che sono il portato della mia visione della vita e della morte, della mia dimensione spirituale, della mia storia umana e sociale. Infatti, bisogna difendere con altrettanto rigore la volontà di quanti chiedono, in prima persona o attraverso esecutori testamentari, di essere sottoposti a qualsiasi trattamento che consenta loro di prolungare l’esistenza biologica del corpo, anche in assenza di ogni barlume di coscienza.
In questi anni di duro scontro l’aspetto più drammatico, quello che in troppi casi ha segnato la morte della pietà, è stata proprio la mancanza di reciprocità nel rispetto della libera volontà della persona nella fase ultima della propria esistenza. Come definire altrimenti le invasioni pubbliche che hanno prolungato la sofferenza di Welby e l’agonia di Eluana?
Ormai non è più rinviabile la formazione sollecita di un testo legislativo che affronti compiutamente la materia e che rispetti, in via prioritaria e senza ambiguità, la volontà e la dignità delle persone malate o che si trovano in uno Stato Vegetativo Permanente e irreversibile, su quando cessare i trattamenti che consentono il prolungamento artificiale della vita.
Accettare la morte come la naturale conclusione del processo evolutivo che si avvia con la nascita significa, nel contempo, impegnare le migliori risorse di una società ricca qual è la nostra, per esplorare le nuove e incredibili potenzialità offerte dalla ricerca scientifica per migliorare la qualità della vita. Nessuno di noi ha ancora dimenticato il clima di disinteresse e la volontaria deformazione della verità indotte da quanti hanno convinto la maggioranza degli italiani a disertare il referendum che mirava ad avere una legge sulla procreazione assistita. Una legge che parlava di progetti di vita, di sostegno alla maternità e paternità responsabile, di prevenzione di gravi malattie genetiche. Il tutto fu svilito da slogan sull’imminente rischio della clonazione umana e di manipolazioni eugenetiche.
Il risultato è che dopo anni di defaticanti confronti non abbiamo una legge che consente al malato in fase terminale di decidere in merito al proseguimento o meno del trattamento sanitario, così come il riconoscimento all’autodeterminazione di una coppia ad utilizzare i ritrovati della ricerca scientifica per far nascere una nuova vita, o per tentare di prevenire l’insorgenza di alcune gravi malattie nel nascituro.
Prima si ragionava sulla reciprocità nel rispetto della vita. E’ un concetto che amplia le nostre prospettive e ci proietta nel futuro prossimo venturo.
Ci sono tante esistenze che, pur nel pieno vigore della loro storia umana, vedono negata la loro qualità di vita, se non addirittura la vita tout court. Si badi bene, non per destino cinico, ma per scelte economiche e politiche, per orientamenti ideologici e pratiche discriminatorie che si vanno perpetuando in tanti Paesi (compreso il nostro), che aggrediscono in profondità alcuni gruppi sociali, quali: i poveri (che comprendono ampie fasce di lavoratori), gli anziani, i disabili, gli immigrati, i nomadi e via elencando.
Vorrei tanto che quanti levano grida di dolore ogniqualvolta si minaccia l’integrità della vita di una cellula staminale, o si chiede di sospendere l’accanimento terapeutico, assumessero la stessa rigorosa determinazione nella difesa della vita di queste persone.
Non è possibile conoscere a priori come si concluderà il percorso che ci porterà ad avere una legge sul testamento biologico (o come vorrà chiamarsi). Una cosa è certa, quanti sono interessati ad affermare il proprio diritto a non essere private della loro dignità, ad avere la facoltà di decidere nelle fasi decisive della propria vita, prendano la parola, facciano pesare in ogni circostanza le proprie opinioni e le proprie sensibilità. Allora vedrete che riusciremo ad avere un codice rispettoso dell’insopprimibile libertà di coscienza di ciascuno.
La strada che si auspica è quella di valorizzare la relazione di cura tra medico e paziente, il fiduciario e i familiari, perché il compito del legislatore è proprio quello di favorire, e non ostacolare questa relazione che si fonda sulla autonomia e responsabilità del medico, ma dove la decisione ultima aspetta alla persona malata adeguatamente informata. E’ quindi necessario abbandonare i toni forti e gli eccessi ideologici e fideistici, per favorire la ripresa di un autentico dialogo tra le posizioni e arrivare alla definizione di un testo che contenga norme che siano minime, essenziali ed appropriate.
Siamo al paradosso che la Costituzione consente ad una persona consapevole di rifiutare l’assunzione di nutrienti e acqua attraverso sonde, mentre questo non è consentito alla persona in fase terminale e non più cosciente, nonostante abbia a suo tempo anticipato questa volontà mediante la sottoscrizione del cosiddetto testamento biologico.
L’espressione “l’ho lasciato morire” avrebbe senso solo se vi fosse stata una qualunque possibilità di mantenere il paziente in vita, ma quando la morte è nelle cose non si può più scegliere tra la vita e la morte. L’unica scelta possibile è come il paziente deve morire e come ridurre al minimo la sofferenza. In prossimità della morte sono particolarmente forti, da un lato il pericolo di andare incontro a sofferenze incredibili, dall’altro quello di perdere il controllo di sé e di vedere perciò compromessa la propria dignità. Occorre riflettere profondamente sul “morire con dignità umana”: significa per tutti affrontare l’evento morte con serietà, serenità e coraggio. Credo che stia qua il nocciolo della questione.
La conclusione non può che essere questa. Auspicare una legge civile e rispettosa della mia libertà di scegliere sull’unico e vero momento cruciale della mia esistenza, il fine vita, quando questa è giunta al suo naturale e irreversibile epilogo. E se lo strumento per garantirmi questo diritto, quando non sarò più in possesso delle mie facoltà cognitive, è il testamento biologico, testamento biologico sia.