Io a Nuraxi Figus
Ieri guardavo il telegiornale. Scorreva una sequenza drammatica: un operaio della Carbosulcis si è ferito tagliandosi le vene di un polso durante un incontro con i giornalisti nella miniera di Nuraxi Figus, in Sardegna.
Il nostro sito si occupa principalmente di fatti del nostro territorio. Non riprendiamo quasi mai notizie al di fuori di questa scelta editoriale.
Ma, in questo caso, devo fare uno strappo alla regola.
Io a Nuraxi Figus ci sono stato diverse volte. Per la mia ditta di Bergamo seguivo i lavori di costruzione di una sottostazione elettrica di alta tensione proprio lì, sopra la miniera. La stazione era a cielo aperto e doveva servire (anzi ora serve) ad alimentare i servizi della miniera. Gli apparecchi elettrici prevedevano persino un impianto di lavaggio degli isolatori perché le polveri di carbone non creassero problemi agli interruttori e ai sezionatori.
Io sotto non ci sono mai stato, ma ho conosciuto i tecnici, gli ingegneri, gli operai, i minatori che lavoravano nella miniera di carbone di Nuraxi Figus, a una profondità di 600 metri sotto il livello del mare.
Ricordo i racconti che mi facevano, le condizioni difficili di lavoro. La temperatura lì è di oltre 42 gradi, 100% di umidità. Rumori assordanti.
Erano gli anni ’90 ma le condizioni non devono essere molto cambiate.
La miniera rappresentava per il territorio una delle poche opportunità di lavoro in una terra bellissima e sfortunata. Bellissima per il paesaggio, per la sua cultura, per le sue tradizioni. Sfortunata per la miopia del potere che ha governato e governa il nostro Paese.
Andavo alla miniera dopo aver letto Sergio Atzeni, il suo “Passavamo sulla terra leggeri” o “Il figlio di Bakunìn” che proprio dalle miniere parte a raccontare.
E ritrovavo i volti, gli accenti, i modi di dire di quei personaggi, li vedevo in carne ed ossa, ascoltavo le loro storie.
In questi giorni ho sentito che un gruppo di loro si è asserragliato a 373 metri di profondità nella miniera di Nuraxi Figus. Ai primi quaranta se ne sono aggiunti altri ottanta tra i quali anche sette donne che hanno voluto raggiungere i loro colleghi. Rivendicano il diritto della conoscenza. “I minatori di oggi è tutta gente diplomata e laureata “, ha detto una lavoratrice della Carbosulcis. “Perdere questa miniera è perdere una miniera di esperienza”.
E alla televisione riascolto le storie che avevo sentito allora.
Sul nostro sito ci siamo occupati spesso di lavoro. Il lavoro precario e quello che non c’è qui da noi.
Torneremo a parlarne a settembre, per verificare se il tempo della crisi colpisce ancora i lavoratori, per vedere le prospettive di lavoro dei giovani.
Perdonate allora questo “fuori tema”, ma dovevo scrivere di loro, dei minatori in lotta, ed in qualche modo essere vicino a loro.
Viene rabbia se per lavorare (e a quelle condizioni) si debba assistere a gesti estremi come quello di quel minatore sindacalista.