La ‘lezione’ di Mons. Bettazzi sul Concilio Vaticano II
Mons. Luigi Bettazzi entra nel silenzio della Chiesa di Monte Marenzo accompagnato da Don Giuseppe Turani e forse lo colpisce questa quiete. Bisbiglia qualcosa al parroco mentre sale con la sua stampella i tre gradini che lo portano al tavolino predisposto per lui (l’altare è stato spostato), e Don Giuseppe, presentandolo ai tanti presenti ieri sera, rivela la curiosità di Mons. Bettazzi: “Mi ha chiesto se siete i miei parrocchiani e ha detto: come sono tranquilli!”
E’ iniziato così, in silenzio e con una battuta, l’incontro con il Vescovo di Ivrea, chiamato da Don Giuseppe a testimoniare la sua partecipazione al Concilio Vaticano II, cinquanta anni fa.
Poi Mons. Bettazzi si alza, va al microfono e dice che parlerà in piedi, lo faceva da giovane per non far addormentare l’uditorio, lo fa ancora adesso per non rischiare di addormentarsi. Si gira poi verso il tabernacolo, chiede scusa al Signore se farà alcune battute ma, si scusa, Don Giuseppe ha detto che si può.
Ora l’uditorio è ben attento e sorridente e non perderà neppure un passaggio della lunga lezione. Perché di questo si è trattato: una vera e propria dotta lezione di storia e di teologia.
La sua testimonianza parte dalla sua esperienza di ausiliare del Cardinale Lercaro (uno dei quattro moderatori dell’assise conciliare). Racconta della rivoluzione del Concilio voluto da Papa Giovanni XXIII, un concilio non dogmatico ma pastorale, cioè che si aprisse al mondo. Spiega dottamente le quattro Costituzioni che furono stese durante il Concilio: sulla Liturgia, sulla Chiesa, sulla Parola di Dio e la Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo.
Partendo da quest’ultima Mons. Bettazzi attualizza l’intuizione del Concilio che si proponeva di come raccontare le verità alle genti di oggi. Non cambiano le verità, ma il modo di presentarle alle donne ed agli uomini di oggi, che hanno maturato un maggior sviluppo di cultura e il senso della responsabilità personale.
Alla fine della sua testimonianza c’è spazio per qualche domanda. Dopo il consueto timore qualcuno si avvicina al microfono, esprime le proprie considerazioni, pone alcune questioni.
Tutte molto colte le domande e dotte le risposte, in tutte la speranza che il cinquantesimo possa rivitalizzare lo spirito del Concilio. Non c’è spazio per la “suggestione” del Concilio, anche se la maggior parte dei presenti si ricorda quella carezza del Papa ai bambini e, forse, con quella carezza sono cresciuti.
Il Vescovo ci deve lasciare, Don Giuseppe lo ringrazia: deve tornare ad Ivrea, la settimana scorsa è stato in Calabria, la prossima settimana ha numerosi impegni che lo portano in giro per l’Italia (a 89 anni suonati) per fare testimonianza.
Mi avvicino al termine a Mons. Bettazzi e mi permetto di chiedere una cosa “fuori tema”. Nella sua testimonianza ha citato per ben tre volte la figura di Don Tonino Bello, parroco della Chiesa Matrice di Tricase, che conosco molto bene, e Vescovo di Molfetta. Cinque anni fa visitai la sua tomba ad Alessano nel Salento dove nacque. Nel dicembre del 1992 Mons. Bettazzi e Don Tonino Bello parteciparono alla ‘Marcia dei 500’, con i Beati Costruttori di Pace, un viaggio fino alla Sarajevo sotto l’assedio Serbo. Un viaggio simbolico quasi totalmente ignorato dai giornali dell’epoca che apre la strada a iniziative di aiuto alle popolazioni dei Balcani, reinventando la cooperazione e la solidarietà internazionale italiana mentre il Governo Italiano appoggiava i bombardamenti della NATO. Disarmati e in quella situazione riuscirono per un giorno e mezzo a non far sparare.
Gli chiedo quale immagine forte ricorda di quella esperienza. Il ricordo di Don Tonino Bello lo anima: “Mi è morto tra le braccia, divorato dal male, pochi mesi dopo quella marcia. Ricordo quell’enorme teatro buio in cui solamente le luci di tante candele riuscivano a farci vedere l’uno con l’altro. E a chi era venuto per ascoltarci demmo la speranza: noi siamo i primi, altri seguiranno.”
E fu veramente così. Attualizzarono un insegnamento del Concilio e della Pacem in Terris, quel ‘andate in pace’, l’invito che viene dato al termine della celebrazione dell’Eucaristia.
Chiudo nel ringraziare Don Giuseppe per avere portato a Monte Marenzo un’altra testimonianza per farci riflettere.
detto da una come mè ,poco praticante,la lezione del Monsignore è stata molto molto bella ho partecipato con molto interesse ed è stata di molto aiuto a capire parecchie cose.grazie al Don per l’opportunità che ci ha dato.