Noi premi Nobel
In queste ore, ad Oslo, si sta assegnando il premio Nobel per la pace all’Europa.
Quindi anche a me. L’Europa siamo tutti noi, io, tu, voi, che crediamo nella pace, prima di tutti coloro che alla pace credono veramente ed agiscono per perseguirla. Coloro che culturalmente, come noi, come tanti amici di Upper, come tanti amici che ci hanno lasciato (mi viene in mente Franco Chiari, sulla sua lapide al cimitero la scritta “uomo di pace”), o Don Giuseppe che in chiesa richiama sempre il nostro dovere alla pace. Coloro che in ogni crisi internazionale si sono schierati per la pace, hanno manifestato, marciato, scritto, comunicato la nostra volontà di pace.
Non tutti gli europei si meritano questo premio. E’ vero che conosciamo in Europa un periodo di pace lungo, ma è anche vero che poco più di venti anni fa, nella ex Jugoslavia, ci si scannava per motivi etnici e noi si andava a bombardare Belgrado.
E l’anno scorso (non un secolo fa) abbiamo fatto lo stesso in Libia.
Le cosiddette missioni di pace in giro per il mondo vengono smentite ogni volta che qualche giovane italiano cade in Afghanistan o, dieci anni fa, a Nassiria.
Merita il premio Nobel chi ha fatto una politica di respingimenti di chi scappa da territori devastati dalle guerre (fatte anche con le nostre armi)?
Idealmente, io, noi, voi, ritiriamo oggi il premio ad Oslo (si sta citando l’allegoria del buon governo dipinto da Ambrogio Lorenzetti, quindi noi Italiani siamo culturalmente per la pace), ma non può farlo chi è contro l’Europa, ma che poi va a firmare contratti capestro rinnegando di averlo fatto (Berlusconi, Lega, Tremonti). Non può farlo chi vede in un immigrato un nemico.
Ed vorremmo che a ritirarlo, anziché i tre rappresentanti maschi (al vertice delle Istituzioni europee), ci fosse stata anche una o più donne, che sono, loro sì, donne di pace.