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Da Tienanmen al Cairo. Le lacrime in due disegni.

Era la primavera del 1989, un’altra primavera dopo quella di Praga e prima della primavera araba che ci accompagna da due anni.

In quei mesi tra l’aprile e il giugno 1989 decine di migliaia di giovani cinesi affluirono dalle campagne, uscirono dalle università, senza armi con i fiori in mano, senza esercitare alcun tipo di violenza se non occupare la piazza simbolo della Cina e del suo regime: Piazza Tienanmen.

Avevano osservato quanto accadeva in Europa, come il vento della libertà soffiava tra i giovani dei regimi comunisti europei.

Nella notte tra il 3 e il 4 Giugno, le truppe fedeli a Li Peng si aprirono la strada verso piazza Tienanmen sparando ad altezza d’uomo con i fucili d’assalto, con le mitragliatrici dei blindati, schiacciando con i cingoli dei carri armati decine e decine di ragazzi e ragazze.

Piazza Tienanmen, la “porta della pace celeste”, questo il significato di Tienanmen in cinese, si ricoprì del sangue dei figli della Cina, la sterminata piazza la mattina del 4 Giugno era ricoperta da migliaia di cadaveri e biciclette deformate dai cingoli dei T-72. La Cina ha soffocato nel sangue la richiesta di libertà dei propri giovani.

Ricordo una vignetta di Staino su “Cuore”. Vignetta a piena pagina con il suo “Bobo” con sua figlia massacrata tra le braccia, e che piangendo dice “Bel lavoro, compagno Deng”.

 

Ora la notizia di quel che accade in Egitto fa raccapricciare.

Dopo la deposizione di Mubarak, l’inizio della democrazia, l’avvento del potere dei Fratelli mussulmani, Rabaa, la piazza dei pro-Morsi sgomberata mercoledì al Cairo dai militari egiziani è la nuova (ennesima) Tienanmen con almeno 578 persone rimaste uccise nell’operazione di polizia e nei successivi scontri.

Il venerdì di preghiera che diventa della rabbia. Ancora scontri, ancora vittime. E attacchi alle chiese cristiane e  persecuzione contro i copti, accusati dai Fratelli musulmani di essere stati in prima fila nelle proteste contro il deposto presidente islamico Mohamed Morsi.

Una situazione esplosiva ad un passo dalla guerra civile.

 

Sto scrivendo queste righe per cercare di capire e di farmi aiutare a capire, da voi che leggete questo sito, su cosa si possa fare per fermare il massacro, e dalla pagina di facebook Giacomo condivide una immagine apparsa oggi sulla pagina facebook di Papa Francesco (e sì, anche il Papa ha una sua pagina, magari, forse neppure scritta da lui, ma tant’è!).

L’immagine è un disegno e la didascalia dice: “Dopo assalti e devastazioni a decine di chiese in Egitto, una bimba musulmana ha scelto un disegno che vale più di mille parole, per esprimere il suo dolore.”

Il disegno di una moschea che si “umanizza” e diventa un viso che piange e che accarezza il disegno di una chiesa che piange (cliccate sopra l’immagine per ingrandirla e guardare meglio il disegno).

Non sappiamo chi sia questa bimba, da dove venga il disegno, ma guardandolo ho la stessa sensazione di allora, come vidi il disegno di Bobo: di impotenza, di dolore, di rabbia.

Rabbia che la lotta per il potere stia schiacciando gli ideali della rivoluzione dei gelsomini (era nata con i gelsomini in Tunisia la primavera araba che in Egitto portò a riempire piazza Tahrir e a deporre Mubarak).

Poi questo disegno…. che davvero vale più di mille parole.

Non c’è solo dolore. E non c’è rabbia. C’è consolazione e speranza. Speranza che le generazioni future (la bimba quanti anni avrà?) possano scrollarsi di dosso le vecchie logiche di contrapposizione. Speranza che quei bambini che oggi vedono distruzione e morte possano domani non ripercorrere gli stessi errori.

Un pensiero su “Da Tienanmen al Cairo. Le lacrime in due disegni.”

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