Incontro con Lampedusa
Cari ragazzi, vi allego il réportage che molto cortesemente Maria Andreotti ci ha inviato dal festival di Lampedusa appena concluso.
Le avevamo chiesto un suo resoconto per il nostro sito e lei ha raccolto l’invito: la ringraziamo sia per la particolare attualità del racconto, sia per l’autorevolezza della sua testimonianza.
Maria Andreotti è Coordinatrice di ‘Continente Italia’, organismo che promuove, da oltre vent’anni, importanti incontri interculturali nelle Scuole superiori del lecchese.
E’ inoltre aderente, come Associazione Italia-Nicaragua, al Comitato ’Noi tutti migranti’ di Lecco.
Ha curato il bel saggio ’Siam partiti l’altra sera al chiar della luna…’, dedicato all’emigrazione dei muratori carennesi verso l’estero tra Ottocento e Novecento, per il volume ‘Muratori della Valle San Martino’ (2009, Museo di Ca’Martì).
Cristina
Scrivere di Lampedusa è difficile, perché è prima di tutto luce mare emozioni. E’ uno scoglio sputato in mezzo al mare dell’universo. E’ un’isola magica.
“Lampedusa è al centro del mondo, perché tutti passano da qui e poi se ne vanno- così mi dice l’amico del barista e continua- Ma i problemi si affrontano a partire dal Sud del mondo non dal Nord”, quando io gli faccio notare che loro sono stati capaci di restare umani.
E’ l’isola che salva, come ancora una volta l’ha chiamata Giusi Nicolini, il sindaco, durante gli incontri del Festival; l’isola che dà la vita una seconda volta e crea un legame indissolubile tra lei e le persone che strappa al mare.
E’ l’isola che da sempre ha accolto quelli che andavano per mare, dove anche la Madonna è la Vergine di Porto Salvo, pregata da cristiani e mussulmani, sbarcati nei secoli scorsi da navi che in quel porto non si combattevano ma lasciavano cibo al santuario per i naufraghi e gli schiavi fuggitivi. E questo sentire sta profondo nella coscienza di tanti lampedusani.
E’ sempre la sindaca a parlare:”L’ invasione non c’è mai stata, è stata creata perché serviva a livello politico per giustificare le scelte securitarie in campo migratorio. E quando si parla di sbarchi si dice il falso, si deve parlare di soccorsi; perché quando un’imbarcazione per venti persone parte dalla Libia con duecento, è ben visibile e dopo due ore incomincia a imbarcare acqua e quindi lancia l’SOS. E le motovedette della guardia costiera sono arrivate fino a 140 miglia dalla costa per salvarli, perché nessuno rispondeva. Non la Tunisia, non Malta, che ha migliaia di immigrati stipati in veri e propri lager. Così non ci prendiamo neanche il merito di salvare vite umane.
E quando qualcuno parla di rimandare indietro i profughi in Libia, dobbiamo sapere dove pensiamo di rimandarli. Sono appena arrivate due donne, una con un bambino di un mese e una di tre mesi. La prima era partita dal suo paese due anni fa senza marito e non ha trovato un compagno: vengono violentate in Libia nei campi di raccolta.
Abbiamo rotto il patto che dovrebbe legare tutti gli uomini, perché tutti esseri umani: e questo dovrebbe essere sacro per tutti, indipendentemente da destra o sinistra. Invece, al di là dei soliti quattro gatti, anche la sinistra è stata tiepida, perché a toccare certi argomenti ci si scotta le mani… ma poi ci si abitua e non scottano più”.
Sono andata per la quinta edizione di LAMPEDUSAINFESTIVAL: cinque giorni (dal 23 al 27 luglio) di cinema, musica, teatro e libri sulle migrazioni, incontri con esperienze di lotta dei migranti nel mondo del lavoro, ma anche con amministratori dal Nord al Sud della Rete dei Comuni solidali e dell’Associazione dei Comuni virtuosi.
Il tutto voluto dall’Associazione di giovani Askavusa, (= A piedi nudi), di Lampedusa e sostenuto poi da enti e associazioni. Li ho guardati con molta ammirazione, cercando di imparare dalla loro capacità di lavorare assieme, tra loro e con le istituzioni, di progettare, di guardare e vedere lontano, di riuscire a coinvolgere uomini di cultura e università in giro per il mondo… e anche di pagare per le loro scelte, perché a qualcuno è stata bruciata la barca da pesca di famiglia e perché vengono accusati da alcuni albergatori d’essere responsabili delle disdette dei turisti per via dei migranti.
Il tutto è iniziato venerdì 23 luglio alla “Porta d’Europa” (l’opera di Mimmo Paladino), sopra un bunker della seconda guerra mondiale trasformato in palco, davanti al blu infinito del mar Mediterraneo, verso il tramonto, con musiche poesie e le parole del sindaco. Ancora prima, a fine mattinata, c’era stata la presentazione ufficiale in uno spazio recuperato, bellissimo, che ricorda una nave e dove sono stati esposti alcuni degli ottocento scritti e oggetti che Askavusa ha raccolto dall’immondezzaio, per salvare le storie dei migranti.
E’ iniziato il lavoro conservativo degli scritti e di catalogazione, per creare un Museo e un Centro di documentazione che veda coinvolti, sia nella nascita che nella fruizione, i migranti stessi, perché non vuole essere un semplice spazio espositivo ma la memoria degli ultimi come modalità di fare politica.
E ora il comandante della Guardia Costiera ha preso l’impegno di salvare, oltre alle persone, anche tutto ciò che è parte della loro storia.
I documentari erano molto diversi fra loro: da quello molto duro del regista svizzero Melgar “Vol spécial”, sui rimpatri dei richiedenti asilo nel cantone di Vaud, al bellissimo “Mohamed e il pescatore”,: la storia del salvataggio, da parte di un pescatore di Mazara del Vallo, di un mauritano, unico sopravvissuto ad un naufragio di migranti.
Ma in quei giorni c’è stata anche la mobilitazione di un gruppo di Eritrei, una comunità di più di duecento, partiti assieme dal loro paese attraversando Sudan, deserto del Sahara, Libia e il mare.
Li ho visti sabato, nel tardo pomeriggio, percorrere la via principale di Lampedusa con un corteo ordinato e composto, scandendo assieme le loro richieste, recando due pezzi di tela bianca con la scritta “NO MANO STAMPA” e “No fingerprints by force. World help us”. Non volevano gli venissero prese le impronte, perché per i trattati europei sarebbero stati costretti a chiedere asilo politico in Italia, mentre volevano recarsi in un paese nordico, dato che il nostro paese, sia per la situazione economica sia per il mancato rispetto dei diritti umani, non li può tutelare.
Arrivati in piazza della chiesa, alcuni si sono sparsi a gruppetti, mentre la maggior parte si è volta in file ordinate verso l’altare e guidati da un diacono, che stava assieme ad altri sei sul gradino più alto del sagrato, hanno iniziato a pregare. Il diacono, con una sciarpa femminile messa sulle spalle a mo’ di stola, intonava il canto e gli altri in piedi con le mani aperte rispondevano in coro. Poi si sono inginocchiati e prostrati a terra e hanno continuato a pregare così. La cerimonia è durata un’ora.
La decisione presa era: non se ne sarebbero andati da lì, iniziando lo sciopero della fame e della sete, se non avessero ottenuto quanto chiedevano: niente impronte e restare uniti. E lì hanno passato la notte.
Li ho guardati. Erano tutti giovani se non giovanissimi. C’erano sei ragazzine, età terza media, che stavano sedute vicine vicine su un gradino, stanche e un po’ stranite; non c’erano adulti che potessero essere i genitori, quindi erano partite senza, oppure questi erano morti durante il viaggio. Tutti erano composti e dignitosi: non avevano nulla se non la nuda vita, visto che pure ciò che li copriva non era loro.
E il passato da cui fuggono è una dittatura dove migliaia di oppositori politici stanno in prigioni sotterranee e in container nel deserto, i maschi devono fare il soldato a vita e la gente è cacciata dai villaggi, perché le terre vengono svendute a multinazionali straniere (grab-land= gli arraffa-terra).
Intanto nella piazzetta a lato, comunicante con il sagrato, andava in onda la festa come può essere in una località marina, con musica e canzoni a tutto volume. C’è stato un momento in cui ho dovuto respirare a fondo, perché temevo di avere le allucinazioni: tutto mi si scontrava dentro e mi sembrava d’essere nel teatro dell’assurdo.
Alla fine il giorno dopo, grazie al lavoro comune di sindaco, polizia, parroco e vescovo copto, raggiunto via telefono, la situazione si è sbloccata: niente impronte digitali ma partenza a gruppi.
E il raggiunto accordo è stato festeggiato con una foto ricordo sui gradini della chiesa, con al centro parroco, sindaco, capo della polizia, ed una preghiera comune Eritrei e parroco.
E ho pensato, come mi aveva detto l’amico del barista, che lì al sud del Sud, su uno scoglio in mezzo al mare, sorgono le domande vere, si vedono i problemi in un’altra prospettiva e anche che le soluzioni da ricercare sono altre.
Maria Andreotti
PS. Se qualcuno desiderasse vedere il programma, basta entrare in www.lampedusainfestival.com
per notizie e immagini sul museo: http://www.museodellemigrazioni.com/