Caro Daniel, ti racconto una storia che forse ricordi:
Deborah, Laura, Sara, Laura, Tiziana, Antonella, Alessandra, Dario, Elisabetta, Elena, Carmen e Alessandra erano, come sempre, a scuola quella mattina del 6 dicembre 1990. All’Istituto tecnico Salvemini di Casalecchio di Reno era una giornata come le altre, normale. All’improvviso un rumore fortissimo e subito dopo un tonfo sordo. Un aereo, un Aermacchi MB 326 dell’Aeronautica Militare italiana, si schianta proprio su quella scuola spezzando, con la sua velocità, vite e sogni.
Dodici ragazzi di 15 anni, tutti della II A, persero la vita, mentre 88 persone vennero ricoverate e ad altre 72 (ma solo in seguito) fu riconosciuta l’invalidità permanente. Il velivolo stava effettuando delle esercitazioni militari proprio sopra il centro abitato.
L’iter giudiziario che seguì quei terribili momenti, ha portato all’assoluzione degli imputati perché “il fatto non sussiste”. Sentenza confermata anche dalla Corte di Cassazione il 26 gennaio del 1998.
Perché questa storia?
Perché le tue parole “in che parte del campo vorrei vedere schierato il mio Stato: incondizionatamente dalla parte delle vittime e della ricerca spietata della verità.” mi hanno fatto ricordare che lo Stato doveva scegliere se essere parte civile nel processo per la scuola (Ministero della pubblica Istruzione) o per l’Aereonautica militare.
Indovina cosa “Lo Stato” scelse? Fin dal processo di primo grado, l’Avvocatura dello Stato scelse di
tutelare l’Aeronautica militare anziché la scuola e i parenti delle vittime che la frequentavano.
Un’altra storia:
Mogadiscio 20 marzo 1994. Due giornalisti, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, sulle tracce di un traffico d’armi e di sporchi affari tessuti dalla cooperazione italiana in Somalia. Erano arrivati a scoprire troppo. Una spietata esecuzione spacciata per incidente: l’ennesimo percorso ad ostacoli verso la verità, tra notes che spariscono, bagagli che partono sigillati e arrivano aperti, notizie che saltano fuori con anni di ritardo, e ricostruzioni che non tornano mai…
Devo continuare? Ustica, Piazza della Loggia, La stazione di Bologna…
Il drammatico bilancio delle stragi di stato e della strategia della tensione si incrocia con quello di altre misteriose tragedie su cui i vertici della Repubblica, dei servizi segreti e delle forze armate hanno più di qualche segreto sepolto. Treni saltati in aria. Stazioni e banche esplose e cadute in macerie, a seppellire corpi innocenti e misteri mai svelati. Aerei finiti in mare durante scenari di guerra mai venuti alla luce. Studenti uccisi per strada da poliziotti travestiti da autonomi. Tanti misteri, tante vittime, ma ben pochi i colpevoli identificati: qualche esecutore, nessun mandante.
Le indagini? Si ripete ogni volta quanto avvenuto dopo la strage di Piazza Fontana: insabbiamenti, distruzione di prove, creazione di false piste, trame di copertura mafiosa. Coinvolgimento pieno dei vertici dei servizi segreti, degli alti gradi delle forze armate e di importanti funzionari dello Stato nello sviare le indagini, nel coprire i reati, nel nascondere la verità, nell’occultare le prove, nel porre in salvo i colpevoli. Opposizione del segreto politico-militare ai magistrati che indagano. Tante morti accidentali in misteriosi incidenti d’auto…
Anch’io volevo (vorrei) che lo Stato fosse dalla parte delle vittime. Purtroppo non lo ha quasi mai fatto.
“Qualcuno era comunista perché Piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica eccetera eccetera eccetera”.
Risuonano molto forti nelle mie orecchie le parole di Giorgio Gaber, e lo fanno ogni volta che c’è un anniversario di quei fatti o per qualche motivo se ne parla.
Quei fatti io non li ho vissuti direttamente, li ho affrontati in qualità di cittadino che formandosi vuole conoscere la sua storia, da dove arriva e dove sta andando. Ho però vissuto il periodo delle stragi del 92-93, e ancor più oggi sto vivendo il venire a galla della verità, una vergognosa trattativa che ha coinvolto pezzi deviati e non dello stato.
E allora mi chiedo, c’è un filo che unisce questi 50 anni di storia italiana? Non è forse il puzzo del compromesso morale (come lo chiamava Paolo Borsellino), la volontà di qualcuno di muovere costantemente i fili dei pupi, come abili pupari?
Io non lo so, al contrario di Pasolini, dove sta la verità o chi sono i colpevoli: so però in che parte del campo vorrei vedere schierato il mio Stato: incondizionatamente dalla parte delle vittime e della ricerca spietata della verità.
Purtroppo, a 45 anni di distanza da Piazza Fontana, troppo spesso non è così.
E’ stato appena pubblicato su Youtube un video in memoria di Giuseppe Pinelli che 45 anni fa, il 15 dicembre 1969, “fu vittima due volte di infondati sospetti e di una ingiusta fine”, come disse il Presidente Napolitano ricevendo, 40 anni dopo i fatti, la vedova Pinelli e le figlie insieme alla vedova del commissario Luigi Calabresi.
Il video “Giuseppe Pinelli: un assassinio di Stato rimasto impunito (interviste a Licia, Claudia e Silvia Pinelli)” lo trovate a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=0-XlrWqIzNU
Nel 1982 il cinema Anteo di Milano dava la prima del film “Il sapore dell’acqua” di Orlow Seunke, Leone d’Oro a Venezia in quell’anno come opera prima (per inciso, pellicola fatta conoscere in Italia dall’amico Graziano Morganti).
Io e Carla andammo ad una proiezione e, al termine, ho dovuto affrontare la difficoltà di risalire un ripida scalinata con la carrozzina. Mi sono guardato attorno in cerca di aiuto. Non ebbi bisogno di chiamare alcuno, che una persona gentile afferrò la carrozzina e con l’aiuto di Carla mi portò sulla strada. Mi salutò e se ne andò senza dire altro.
Era Pietro Valpreda, anarchico, imprigionato come uno degli autori della strage di Piazza Fontana, riconosciuto completamente innocente dalla giustizia dopo aver scontato ben tre anni di custodia cautelare.
Qui una testimonianza di Sivia Pinelli pubblicata ieri: http://youmedia.fanpage.it/video/aa/VIqVteSwUP-8Atn1
“Sono stata invitata ad un convegno sulla digitalizzazione degli atti processuali – ci ha raccontato Silvia Pinelli – e in quella circostanza il giudice Pradella ha detto che le veline dal 12 al 16 dicembre riguardanti mio padre sono scomparse. È stato come rivivere quel vuoto di quei giorni”.
Un’immagine e un numero.
Non perché non ci sono più parole.
Un’immagine e un numero a volte valgono più di tante parole.
E un’immagine ed un numero sono qualcosa rispetto al silenzio assordante.
Pochi media televisivi lo hanno ricordato. Un servizio al TG3 regionale che ha mostrato la cerimonia davanti alla Banca Nazionale del’Agricoltura. E a raccontare il silenzio delle 16.37, la stessa ora e lo stesso minuto in cui scoppiò la bomba 45 anni fa.
Anche gli studenti e gli antagonisti si sono zittiti e hanno fermato la loro protesta e i fischi al Governatore della Lombardia.
Un’immagine ed un numero.
L’immagine è quella dell’interno della banca dopo lo scoppio della bomba.
Il numero è il numero di anni trascorsi da quella strage, il 12 dicembre 1969, 45 anni fa, senza che si sia individuato un solo colpevole.
45 anni di depistaggi ed omissioni.
Sette indagini. Dodici processi. Nessun colpevole. La giustizia non è riuscita a stabilire le responsabilità individuali, a condannare chi ha organizzato e realizzato la strage. Eppure è sbagliato dire che non sappiamo nulla, che non conosciamo la verità. La sappiamo, e non soltanto nel senso profetico di Pasolini (“Io so”).
Le stragi della cosiddetta strategia della tensione sono state materialmente eseguite da gruppi neofascisti coperti da apparati dello Stato.
Nel 2005 la Corte di Cassazione ha affermato che la strage di piazza Fontana fu realizzata da «un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura», che però non furono più processabili in quanto «irrevocabilmente assolti dalla Corte d’assise d’appello di Bari».
Noi sappiamo, quindi. Solo che non c’è stata giustizia per i mandanti, per gli esecutori, per i depistatori.
Che c’entra questo con il nostro sito e Monte Marenzo?
Intanto riteniamo nostro dovere ricordare quella data e denunciare ancora una volta l’ingiustizia nei confronti non solo delle 17 vittime che morirono e delle 88 persone che rimasero ferite, ma per l’Italia intera che da quella data cambiò la sua storia.
E anche per una vittima in più che con quella strage non c’entrava proprio nulla, Giuseppe Pinelli, anarchico “suicidato”, volato dalla finestra della questura di Milano il 15 dicembre.
Era nostra intenzione invitare a Monte Marenzo la vedova di Pinelli, che cinque anni fa raccontò in un libro-intervista con Piero Scaramucci la sua storia: “Una storia quasi soltanto mia”.
A settembre ho avuto la possibilità di contattare, tramite Annalisa, un’amica di UPper, Silvia Pinelli, figlia di Pino e Licia Rognini, vedova dell’anarchico ucciso.
Silvia mi rispose con una mail: “Gentile Sergio,
intanto la ringrazio ma mia madre ormai da qualche anno non se la sente di presenziare a nessun tipo di incontro pubblico, ma non si sa mai.”
Compresi la disillusione di Licia e rimanemmo comunque d’accordo per una eventuale presentazione di Piero Scaramucci, il giornalista RAI e di Radio Popolare che intervistò a lungo Licia Pinelli.
Vedremo.
Intanto quell’immagine e quel numero erano dovuti. Anche senza parole.
Quella strage ha cambiato l’Italia. Quanti, come me, sono stati investiti in pieno spirito da quella esplosione, hanno intuito che il nostro Paese aveva perso la propria innocenza. Sarebbero arrivati altri e più devastanti attentati, assassinii orribili, pericoli per la sopravvivenza stessa della nostra democrazia.
Eppure…Eppure siamo riusciti a vincere sui troppi anni di piombo e di sangue, siamo riusciti a ristabilire una dignitosa vita civile grazie all’uso sapiente della politica nella gestione dei conflitti.
Perché ora non riusciamo a riutilizzare quelle modalità per questioni che mi appaiono meno drammatiche, perché non riusciamo a lavorare per le reciproche esigenze, cosa usiamo al posto della politica che abbiamo voluto uccidere e seppellire in fretta e furia, come si fa con i cadaveri infetti?
Il dibattito è aperto.
Caro Daniel, ti racconto una storia che forse ricordi:
Deborah, Laura, Sara, Laura, Tiziana, Antonella, Alessandra, Dario, Elisabetta, Elena, Carmen e Alessandra erano, come sempre, a scuola quella mattina del 6 dicembre 1990. All’Istituto tecnico Salvemini di Casalecchio di Reno era una giornata come le altre, normale. All’improvviso un rumore fortissimo e subito dopo un tonfo sordo. Un aereo, un Aermacchi MB 326 dell’Aeronautica Militare italiana, si schianta proprio su quella scuola spezzando, con la sua velocità, vite e sogni.
Dodici ragazzi di 15 anni, tutti della II A, persero la vita, mentre 88 persone vennero ricoverate e ad altre 72 (ma solo in seguito) fu riconosciuta l’invalidità permanente. Il velivolo stava effettuando delle esercitazioni militari proprio sopra il centro abitato.
L’iter giudiziario che seguì quei terribili momenti, ha portato all’assoluzione degli imputati perché “il fatto non sussiste”. Sentenza confermata anche dalla Corte di Cassazione il 26 gennaio del 1998.
Perché questa storia?
Perché le tue parole “in che parte del campo vorrei vedere schierato il mio Stato: incondizionatamente dalla parte delle vittime e della ricerca spietata della verità.” mi hanno fatto ricordare che lo Stato doveva scegliere se essere parte civile nel processo per la scuola (Ministero della pubblica Istruzione) o per l’Aereonautica militare.
Indovina cosa “Lo Stato” scelse? Fin dal processo di primo grado, l’Avvocatura dello Stato scelse di
tutelare l’Aeronautica militare anziché la scuola e i parenti delle vittime che la frequentavano.
Un’altra storia:
Mogadiscio 20 marzo 1994. Due giornalisti, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, sulle tracce di un traffico d’armi e di sporchi affari tessuti dalla cooperazione italiana in Somalia. Erano arrivati a scoprire troppo. Una spietata esecuzione spacciata per incidente: l’ennesimo percorso ad ostacoli verso la verità, tra notes che spariscono, bagagli che partono sigillati e arrivano aperti, notizie che saltano fuori con anni di ritardo, e ricostruzioni che non tornano mai…
Devo continuare? Ustica, Piazza della Loggia, La stazione di Bologna…
Il drammatico bilancio delle stragi di stato e della strategia della tensione si incrocia con quello di altre misteriose tragedie su cui i vertici della Repubblica, dei servizi segreti e delle forze armate hanno più di qualche segreto sepolto. Treni saltati in aria. Stazioni e banche esplose e cadute in macerie, a seppellire corpi innocenti e misteri mai svelati. Aerei finiti in mare durante scenari di guerra mai venuti alla luce. Studenti uccisi per strada da poliziotti travestiti da autonomi. Tanti misteri, tante vittime, ma ben pochi i colpevoli identificati: qualche esecutore, nessun mandante.
Le indagini? Si ripete ogni volta quanto avvenuto dopo la strage di Piazza Fontana: insabbiamenti, distruzione di prove, creazione di false piste, trame di copertura mafiosa. Coinvolgimento pieno dei vertici dei servizi segreti, degli alti gradi delle forze armate e di importanti funzionari dello Stato nello sviare le indagini, nel coprire i reati, nel nascondere la verità, nell’occultare le prove, nel porre in salvo i colpevoli. Opposizione del segreto politico-militare ai magistrati che indagano. Tante morti accidentali in misteriosi incidenti d’auto…
Anch’io volevo (vorrei) che lo Stato fosse dalla parte delle vittime. Purtroppo non lo ha quasi mai fatto.
“Qualcuno era comunista perché Piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica eccetera eccetera eccetera”.
Risuonano molto forti nelle mie orecchie le parole di Giorgio Gaber, e lo fanno ogni volta che c’è un anniversario di quei fatti o per qualche motivo se ne parla.
Quei fatti io non li ho vissuti direttamente, li ho affrontati in qualità di cittadino che formandosi vuole conoscere la sua storia, da dove arriva e dove sta andando. Ho però vissuto il periodo delle stragi del 92-93, e ancor più oggi sto vivendo il venire a galla della verità, una vergognosa trattativa che ha coinvolto pezzi deviati e non dello stato.
E allora mi chiedo, c’è un filo che unisce questi 50 anni di storia italiana? Non è forse il puzzo del compromesso morale (come lo chiamava Paolo Borsellino), la volontà di qualcuno di muovere costantemente i fili dei pupi, come abili pupari?
Io non lo so, al contrario di Pasolini, dove sta la verità o chi sono i colpevoli: so però in che parte del campo vorrei vedere schierato il mio Stato: incondizionatamente dalla parte delle vittime e della ricerca spietata della verità.
Purtroppo, a 45 anni di distanza da Piazza Fontana, troppo spesso non è così.
E’ stato appena pubblicato su Youtube un video in memoria di Giuseppe Pinelli che 45 anni fa, il 15 dicembre 1969, “fu vittima due volte di infondati sospetti e di una ingiusta fine”, come disse il Presidente Napolitano ricevendo, 40 anni dopo i fatti, la vedova Pinelli e le figlie insieme alla vedova del commissario Luigi Calabresi.
Il video “Giuseppe Pinelli: un assassinio di Stato rimasto impunito (interviste a Licia, Claudia e Silvia Pinelli)” lo trovate a questo link:
https://www.youtube.com/watch?v=0-XlrWqIzNU
Nel 1982 il cinema Anteo di Milano dava la prima del film “Il sapore dell’acqua” di Orlow Seunke, Leone d’Oro a Venezia in quell’anno come opera prima (per inciso, pellicola fatta conoscere in Italia dall’amico Graziano Morganti).
Io e Carla andammo ad una proiezione e, al termine, ho dovuto affrontare la difficoltà di risalire un ripida scalinata con la carrozzina. Mi sono guardato attorno in cerca di aiuto. Non ebbi bisogno di chiamare alcuno, che una persona gentile afferrò la carrozzina e con l’aiuto di Carla mi portò sulla strada. Mi salutò e se ne andò senza dire altro.
Era Pietro Valpreda, anarchico, imprigionato come uno degli autori della strage di Piazza Fontana, riconosciuto completamente innocente dalla giustizia dopo aver scontato ben tre anni di custodia cautelare.
Qui una testimonianza di Sivia Pinelli pubblicata ieri:
http://youmedia.fanpage.it/video/aa/VIqVteSwUP-8Atn1
“Sono stata invitata ad un convegno sulla digitalizzazione degli atti processuali – ci ha raccontato Silvia Pinelli – e in quella circostanza il giudice Pradella ha detto che le veline dal 12 al 16 dicembre riguardanti mio padre sono scomparse. È stato come rivivere quel vuoto di quei giorni”.
Un’immagine e un numero.
Non perché non ci sono più parole.
Un’immagine e un numero a volte valgono più di tante parole.
E un’immagine ed un numero sono qualcosa rispetto al silenzio assordante.
Pochi media televisivi lo hanno ricordato. Un servizio al TG3 regionale che ha mostrato la cerimonia davanti alla Banca Nazionale del’Agricoltura. E a raccontare il silenzio delle 16.37, la stessa ora e lo stesso minuto in cui scoppiò la bomba 45 anni fa.
Anche gli studenti e gli antagonisti si sono zittiti e hanno fermato la loro protesta e i fischi al Governatore della Lombardia.
Un’immagine ed un numero.
L’immagine è quella dell’interno della banca dopo lo scoppio della bomba.
Il numero è il numero di anni trascorsi da quella strage, il 12 dicembre 1969, 45 anni fa, senza che si sia individuato un solo colpevole.
45 anni di depistaggi ed omissioni.
Sette indagini. Dodici processi. Nessun colpevole. La giustizia non è riuscita a stabilire le responsabilità individuali, a condannare chi ha organizzato e realizzato la strage. Eppure è sbagliato dire che non sappiamo nulla, che non conosciamo la verità. La sappiamo, e non soltanto nel senso profetico di Pasolini (“Io so”).
Le stragi della cosiddetta strategia della tensione sono state materialmente eseguite da gruppi neofascisti coperti da apparati dello Stato.
Nel 2005 la Corte di Cassazione ha affermato che la strage di piazza Fontana fu realizzata da «un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura», che però non furono più processabili in quanto «irrevocabilmente assolti dalla Corte d’assise d’appello di Bari».
Noi sappiamo, quindi. Solo che non c’è stata giustizia per i mandanti, per gli esecutori, per i depistatori.
Che c’entra questo con il nostro sito e Monte Marenzo?
Intanto riteniamo nostro dovere ricordare quella data e denunciare ancora una volta l’ingiustizia nei confronti non solo delle 17 vittime che morirono e delle 88 persone che rimasero ferite, ma per l’Italia intera che da quella data cambiò la sua storia.
E anche per una vittima in più che con quella strage non c’entrava proprio nulla, Giuseppe Pinelli, anarchico “suicidato”, volato dalla finestra della questura di Milano il 15 dicembre.
Era nostra intenzione invitare a Monte Marenzo la vedova di Pinelli, che cinque anni fa raccontò in un libro-intervista con Piero Scaramucci la sua storia: “Una storia quasi soltanto mia”.
A settembre ho avuto la possibilità di contattare, tramite Annalisa, un’amica di UPper, Silvia Pinelli, figlia di Pino e Licia Rognini, vedova dell’anarchico ucciso.
Silvia mi rispose con una mail: “Gentile Sergio,
intanto la ringrazio ma mia madre ormai da qualche anno non se la sente di presenziare a nessun tipo di incontro pubblico, ma non si sa mai.”
Compresi la disillusione di Licia e rimanemmo comunque d’accordo per una eventuale presentazione di Piero Scaramucci, il giornalista RAI e di Radio Popolare che intervistò a lungo Licia Pinelli.
Vedremo.
Intanto quell’immagine e quel numero erano dovuti. Anche senza parole.
eppure….è passata la giornata e nessun organo di informazione televisiva l’ha ricordata quella strage.
Quella strage ha cambiato l’Italia. Quanti, come me, sono stati investiti in pieno spirito da quella esplosione, hanno intuito che il nostro Paese aveva perso la propria innocenza. Sarebbero arrivati altri e più devastanti attentati, assassinii orribili, pericoli per la sopravvivenza stessa della nostra democrazia.
Eppure…Eppure siamo riusciti a vincere sui troppi anni di piombo e di sangue, siamo riusciti a ristabilire una dignitosa vita civile grazie all’uso sapiente della politica nella gestione dei conflitti.
Perché ora non riusciamo a riutilizzare quelle modalità per questioni che mi appaiono meno drammatiche, perché non riusciamo a lavorare per le reciproche esigenze, cosa usiamo al posto della politica che abbiamo voluto uccidere e seppellire in fretta e furia, come si fa con i cadaveri infetti?
Il dibattito è aperto.