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Cosa insegna Refrontolo a Monte Marenzo

Torrente Carpine, loc. Ravanaro - foto Angelo Fontana

Cosa ci insegna il disastro ambientale di Refrontolo, che in queste ore fa la conta dei morti e dei feriti a seguito della tracimazione del torrente Lierza? O meglio, come mai non riusciamo mai ad imparare da tragedie come questa?

A Monte Marenzo guardiamo sempre con apprensione ai fenomeni atmosferici estremi, perché sappiamo quanto possano accelerare i processi di dissesto del suolo in alcune aree critiche, innanzitutto sulla parete rocciosa che sovrasta la Levata, la cui storia di caduta massi, evacuazioni e lavori di consolidamento del versante è ben presente a tutti noi.

Ma non c’è solo la Levata. Molti ricordano la frana di Ravanaro che nella notte del 25 gennaio 1994 trascinò a valle il depuratore comunale. Non ci furono conseguenze per le persone, tuttavia, in attesa dell’adeguamento del depuratore di Calolziocorte a cui ora siamo allacciati, per anni gli scarichi fognari vennero convogliati nel torrente Carpine, con un conseguente peggioramento della salute ambientale.

L’evento di Refrontolo ci sollecita ad alzare il livello di attenzione, perché le aree appena citate presentano, e presenteranno anche per il futuro, un quadro geomorfologico in continua evoluzione.

Se per la Levata esiste un programma di interventi già finanziato da Comune, Regione e RFI (ferrovie) e i lavori sono previsti per i prossimi mesi, per la frana di Ravanaro ancora attiva il comune di Monte Marenzo, nonostante gli studi e le continue richieste di aiuto lanciate in ogni direzione (Regione, Provincia, Comunità Montana, comune di Calolziocorte, ecc.), non hanno avuto alcuna risposta concreta.

Eppure, come si legge nelle relazioni del geologo dottor Corna, e pubblicate anche sul nostro sito (https://www.unpaeseperstarbene.it/2013/la-frana-di-ravanaro-nellaggiornamento-del-piano-di-protezione-civile/ ), la situazione che si potrebbe determinare sarebbe alquanto rischiosa e in tempi molto inferiori alle ere geologiche. In sostanza, dal versante a suo tempo interessato della frana che travolse il depuratore, si staccherebbe e scivolerebbe a valle un nuovo fronte di alcune migliaia di metri cubi di terra e rocce ostruendo l’alveo del torrente Carpine (vedi la foto da noi pubblicata

https://www.unpaeseperstarbene.it/2014/%E2%80%9Cbasta-acqua%E2%80%9D-la-fotogallery-del-giorno-di-angelo-fontana/  ), creando un invaso assai pericoloso per le aree sottostanti del territorio di Calolziocorte.

La complessità dell’opera, il suo elevato costo e il fatto che il fenomeno interessa aree intercomunali, sono tutti fattori che non possono essere affrontati solamente dal comune di Monte Marenzo, già fortemente impegnato sulla Levata. Le casse vuote delle finanze pubbliche non possono essere l’unico decisore in queste faccende. Ormai anche i più sprovveduti sanno che un euro investito in prevenzione, evita di spenderne tre a riparare i danni a disastro avvenuto. Così come Governo e Parlamento devono togliere senza indugio ogni limite di spesa, o patto di stabilità, per gli investimenti che riguardino la sicurezza, la salubrità, la tutela dei suoli, del paesaggio, del patrimonio naturalistico e storico delle nostre comunità.

Un pensiero su “Cosa insegna Refrontolo a Monte Marenzo”

  1. Sempre in merito ai fatti di Refrontolo, un punto di vista autorevole sui processi di abbandono del territorio collinare e montano visti come causa principale del dissesto e quindi del disastro.
    L’intervento di Giuseppe De Luca (segretario generale dell’Istituto Nazionale di Urbanistica) nell’articolo di Luciano Ferraro del Corriere.

    “L’abbandono delle aree collinari e montane è un fenomeno drammatico sia per la società che per l’equilibrio geologico del nostro Paese. Fino a vent’anni fa gli abitanti provvedevano alla manutenzione ordinaria del territorio, in alta collina e in montagna. C’erano le colture dei contadini i quali poi provvedevano a molte opere di manutenzione semplicemente perché amavano farlo, rientrava nella loro cultura.

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