Storie di persone e di muri
La foto ritrae un muro grigio interrotto in un punto dove una donna vestita di nero si affaccia per guardare al di là del muro.
No, non è esatto.
La foto ritrae una donna vestita di nero che si affaccia nel punto dove una parte di un lungo muro grigio è caduto.
Basta decidere quale è il soggetto di quella foto per raccontare due possibili storie.
La prima storia racconta di un muro. Il muro è quello di Sadr City a Baghdad in Irak. Uno dei tanti muri edificati nel mondo. Nel 2008, all’indomani della caduta del regime di Saddam Hussein, a Baghdad gli statunitensi non trovarono una soluzione migliore di un muro di steli di cemento, gli hesco bastion, per salvaguardare il quartiere sunnita di Adhamiya, circondato da distretti sciiti. La barriera, nelle intenzioni del comando americano, avrebbe dovuto impedire l’infiltrazione di miliziani sciiti con rampe di lancio per razzi destinati a colpire la “zona verde”, l’enclave fortificata che ospita le sedi delle istituzioni irachene e l’ambasciata Usa. Il muro continua a dividere la capitale irachena anche dopo il ritiro delle forze straniere.
Se invece il soggetto della foto è la donna vestita di nero, la storia è di quella donna. Non sappiamo il suo nome e possiamo solo immaginare quale sia la sua vita. Circa 3 milioni di persone impoverite sono affollate nel sobborgo sciita di Sadr City. Gli iracheni più poveri vivono tra cumuli di rifiuti, dormono tra i topi e bevono acqua inquinata. Nel paese con la terza riserva mondiale di petrolio, la popolazione vive in miseria. La donna è riuscita a trovare un po’ di riso che cucinerà per i tre figli. Non basta per sfamarsi e sono lontani i tempi in cui il marito lavorava, prima della guerra. Ma un mattino una lastra di quel lungo muro grigio è caduta. Allora quella donna vestita di nero si è spinta fino a quella soglia e ha guardato…
Le storie che raccontano le fotografie di Confrontier, 8 muri di confine nel mondo del fotografo tedesco Kai Wiedenhöfer, esposte a via dell’Isola a Lecco, nell’ambito di Immagimondo 2015, sono storie di muri ma anche di persone. Muri come quello di Ceuta o Melilla, quelli nei territori della Palestina o sul confine tra Stati Uniti e Messico, quelli a Cipro e in Korea.
Sono le storie di quell’uomo con un maglione giallo e un giubbetto nero che a Melilla, insieme ad altre decine di uomini e donne, spinge il suo enorme pacco vicino al lungo filo spinato anti-immigrati alto sei metri che chiude la città enclave spagnola in Marocco. Dovrebbe ostacolare o impedire l’immigrazione illegale e il contrabbando, in realtà, in relazione al contrabbando non c’è alcun tipo di problema, passa di tutto, basta che sia portato sulle spalle di un trasportatore, come quell’uomo col maglione giallo. Lo fa per cinque euro a carico…
L’Associazione Les Cultures ha pensato di collocare questa mostra sui muri di una vecchia industria lecchese dismessa. Le fotografie sono incollate alle pareti e rimarranno appese fino a quando le condizioni climatiche lo permetteranno.
Foto di muri su un muro. E’ quasi difficile capire se quelle scritte con lo spray nero siano tracciate sul muro della fabbrica dismessa o se siano segnate su un muro di Gerusalemme.
L’Associazione Les Cultures ha scritto sul suo sito il senso di questa mostra:
“La pace inizia dove i muri cadono, non dove stanno eretti”.
Nel 1989 Kai Wiedenhöfer fotografò la caduta del muro di Berlino dalla sua casa; avvenimento storico che lo segnò profondamente. A quel tempo, Wiedenhöfer, come molti, credette che la caduta del muro avrebbe significato la fine dell’esistenza dei muri come strumenti politici e il loro abbandono come anacronistico strumento di divisione. Dopo vent’anni, la storia ci ha smentiti, infatti i muri hanno goduto di una barbarica rinascita. Barriere di confine sono state erette negli Stati Uniti, Europa e nel Medio Oriente in seguito a conflitti politici, economici, religiosi e etnici. Wiedenhöfer ha fotografato muri a Ceuta e Melilla, Baghdad, nei Territori occupati della Palestina, sul confine Stati Uniti – Messico, a Cipro e in Korea, così come i resti della cortina di ferro. Il suo progetto vuole mostrare che i muri non sono una soluzione per i problemi politici ed economici di oggi, ma la prova della nostra insensatezza, la nostra incapacità a comunicare tra noi stessi.
Les Cultures lavora da sempre sull’idea che ai confini, rigide barriere che escludono, vadano sostituite le frontiere, terreni di confronto mobili e flessibili, per costruire identità in grado di accettare e dialogare con le diversità culturali.
Torno a guardare quella foto di quella donna e ricordo questa recente lettura:
Un giorno Yehuda Amichai, il grande poeta di Gerusalemme, stava seduto con due panieri pieni di frutta sui gradini accanto alla porta della Cittadella. A un certo punto sentì una guida turistica che diceva: “Lo vedete quell’uomo con i panieri? Proprio a destra della sua testa c’è un arco dell’epoca romana. Proprio a destra della sua testa”. Scrive Amichai: “Io mi dissi: la redenzione verrà soltanto se la loro guida gli dice: “Vedete quell’arco di epoca romana? Non è importante; ma lì vicino, un po’ più in basso a sinistra, sta seduto un uomo che ha comprato la frutta e la verdura per la sua famiglia”.
Basta decidere quale è il soggetto di quelle foto per raccontare due possibili storie.