Figli di un Dio minore “ Non voglio essere come una foglia secca, che scompare nel tempo … ”
Domenica 6 novembre 2016.
Milano.
Esco dall’affascinante Franco Parenti.
Oggi il teatro è circondato dalla nebbia, dalla leggera pioggerella; spicca come un gioiellino raro in questa domenica di novembre.
Questa sera il cielo stellato e l’inafferrabile, enigmatica luna, illuminano le strade della fredda e grigia Milano.
L’autunno invade la città, lo sento dal turbamento delle foglie, lo percepisco dal freddo che mi penetra nella pelle fino ad arrivare alle ossa, da come corre nelle mie mani.
Fiuto l’umidità.
Calpestando le foglie schiacciate per terra con la suola delle scarpe col tacco, ripenso ad una delle tanti frasi che questa sera mi ha fatto emozionare a teatro: “non voglio essere una foglia secca, che scompare nel tempo.”
Ecco il nome dello spettacolo che mi ha fatto intensamente vivere una cascata di emozioni che non avevo ancora provato prima di questa sera. Sentivo sul mio petto i battiti tumultuosi del cuore, i brividi che percorrevano le braccia e le lacrime che nel finale mi hanno rigato il volto.
Quei centotrentacinque minuti indimenticabili, mi hanno dato la possibilità di vedere da vicino una realtà che non conoscevo abbastanza: quella dei non udenti.
Lo spettacolo, frutto del testo teatrale di Mark Medoff (che nella versione cinematografica degli anni ‘80 ebbe un enorme successo), mette in scena l’incontro tra due mondi, due realtà, due universi diversi, che si sfiorano, si piacciono, si incontrano, si assaporano e nelle differenze che possiedono, si fondono.
L’amore profondo, incondizionato, che vuole superare ogni barriera, regna tra James, l’attore Giorgio Lupano (protagonista della serie tv “Paura d’amare” e “La stella della porta accanto”), logopedista e insegnante di Sarah, a sua volta interpretata dall’ineguagliabile attrice Rita Mazza, che è una delle sue allieve, sorda.
Lo spettacolo si muoveva come una danza: un ballo delicato come il suono percepito dalle corde di un’arpa.
Giorgio Lupano mi ha sorpresa.
La scena incredibilmente emozionante, una vera bomba ad orologeria, nella quale lui scongiura la moglie di parlare facendo emergere la propria paura, la rabbia, il suo dolore ha fatto rimanere il teatro in una sorta di sospensione per qualche minuto.
Lui ha tirato fuori tutto se stesso, tutto il suo io.
Anche se, quello che mi ha affascinato di più nel suo modo di recitare è stato come lui sa ascoltare mentre gli altri attori recitano.
Mi spiego meglio … alcuni attori si capisce immediatamente che nei momenti in cui non stanno parlando, sono troppo concentrati su di sé o su alcuni dettagli, come ad esempio il dettaglio tipico di ricordare l’eventuale prossima battuta.
Lui no.
Lui sa ascoltare.
Sembrava registrare ogni cosa soprattutto con lo sguardo oltre che la fisicità e la gestualità.
Ed ora seduta in metropolitana chiudo gli occhi.
Ritorno con la mente nel salone grande del teatro, nella poltroncina comoda, rossa, dove mi ero accomodata e si, penso di aver vissuto un viaggio.
E quel viaggio vorrei ancora riviverlo infinite volte, vorrei davvero che non finisse mai.
Rachele Isacco.