“La casa nel prato”. Un racconto di Sara Invernizzi
Sara è da pochi mesi una amica della nostra pagina facebook di UPper.
Ieri mattina, mentre scorro gli ultimi post pubblicati dai nostri lettori vedo una serie di foto affascinanti. Sono foto di case in rovina e Sara ha scritto accanto ad una di esse una frase bellissima: “Il tuo profumo è umido. Ti penso cara casa in rovina. Mentre cade la pioggia penso al tuo tetto esausto. Sei come un fiore e ti amo. Avrei voluto poterti cogliere e farti seccare in un libro, per sempre poter rivedere i tuoi colori polverosi. Addio.”
Incuriosito scopro che Sara ha addirittura fatto un album a tema dal titolo “Ruines dans la forêt”, con immagini di esterni ed interni di case abbandonate tra i boschi sparse lungo i monti delle valli vicine e più lontane da noi.
Sarebbe un bel tema per un articolo del nostro sito. Chiedo a Sara di poter pubblicare alcune foto, quelle di un solo luogo perché ogni casa e ogni rovina ha una sua storia.
Sara accetta e ci invia subito una di queste storie e la ringraziamo.
Sergio
La Casa nel prato
Sara Invernizzi
La prima volta che l’ho incontrata ci viveva ancora qualcuno, era una casa “impegnata” insomma e quindi non mi sono permessa di avvicinarmi troppo. Ero piccola all’epoca, avevo dodici o tredici anni, avevo raccolto le more che crescevano lungo i muretti in pietra che sorgevano sul retro, dove ormai le ripe erbose non erano già più coltivate e l’erba era soffocata dai rovi, di quel colore giallo spento, triste e desolata. Era stato un pomeriggio viola mora e verde umido, il verde cupo del bosco che diventa arrogante e genera quella cappa densa che ti fa strisciare a terra.
Passati gli anni sono tornata spesso e l’ho ritrovata, la Casa nel prato, affranta e sola, qualche volta si accompagnava a degli asini o a delle mucche, come una vecchia zitella con i suoi gatti, le facevano giusto quel poco di compagnia necessaria per non farla crollare giù, pulivano il terreno e tenevano lontano il bosco cupo e umido.
Ci andavo anche da sola, giovane adolescente in cerca di un umore tetro, di una comprensione e un sostegno per la mia solitudine che la Casa nel prato sapeva fornirmi perché pratica anche lei di queste cose, aveva ancora un sentore di fede, di religiosità spiccia e quotidiana, una bella Madonna dipinta sul muro esterno della stalla.
Le mie permanenze però erano brevi, ogni volta che mi trovavo al suo cospetto avevo sempre una forte sensazione di cose morte. Ricordo la finestra che dava sul cortile, da fuori si vedeva all’interno ed era un occhio aperto, dentro come pupilla c’era un bel lampadario… quel lampadario mi perseguitava perché nei miei sogni, nella sua luce stava sempre seduto, su una sedia, uno scheletro. Era lo scheletro della Casa del prato, quello che le persone che l’hanno abbandonata non si sono portati via.
Ci sono ruderi dove rimane l’anima, ma lì l’anima non la sentivo, se ne era andata, però era rimasto lo scheletro. Quando poi la porta è crollata e sono entrata la prima volta, lo scheletro si è mostrato ai miei occhi sotto forma del lampadario crollato a terra, accartocciato, senza più anima-senza più luce. Lo scheletro di una casa è pesante e compenetra l’aria, la rende irrespirabile e collosa, ti pesa addosso e ogni stanza è un macigno che poi ti si ferma nel cuore.
La cara vecchia Casa nel prato, l’ho amata nel suo cedere, nel non trovare la forza di resistere, con lei il prato… non era solo mura, tavoli, credenze, secchi, ma era l’erba, la grande pianta di Clerodendrum trichotomum, i noci, i meli, i peri.
Sulla casa è calato l’abbandono, ma il suo prato e il frutteto hanno dovuto subire l’assalto del bosco umido, dei rovi aggressivi e così, negli anni, anche i rami sono rovinati a terra, i frutti sono diventati aspri, hanno perso dolcezza… Un prato così piano, di forma precisa, definita, quante mani l’hanno creato? Ora ha contorni slabbrati, i frassini e i giovani faggi avanzano dai suoi margini, la rete è crollata abbattuta da un assalto di rovi, che sembrano così leggeri e agili, e invece sono pesanti. Tutte le fatiche di chi ha abbattuto gli alberi, dissodato la terra e portato il sole oggi vengono catturate dalle radici dei nuovi colonizzatori, vengono trascinate sotto terra come i legni marci dei meli e del pruno.
La cara Casa nel prato è come un’amica triste che non sono riuscita a salvare, perché mi faceva paura, perché era piena di scheletri e sassi, troppo densi, troppo pesanti, soprattutto muti: quando mi ha fatta entrare ormai il cielo l’aveva svelata da tempo e dei suoi ricordi rimanevano solo frammenti confusi, non sono riuscita a ricostruire la sua storia, dei legni, stivali, una affettatrice, delle cerniere, bottoni…
…e un grande cuore con scritto “Oggi sposi”.
La storia d’amore di una casa e di chi la viveva, una storia di abbandono? O una storia d’amore tra una casa, un prato… e il cielo… che finalmente ha potuto abbracciarla, spegnerla, scoprirla, farla morire di gioia.
Mi piace pensarla felice ora, la Casa nel prato, mentre muore di gioia, unita in un abbraccio con il cielo, china a baciare l’erba del prato, coperte le membra di rovi, singhiozzi come sassi crollati e vestita di muri scrostati.
La lascio dormire per sempre, pesante nel sonno di secoli, ormai disumana, non posso comprenderla più.
Marilena, io sono convinta che con il vostro esempio tra non molti anni non saranno pochi i giovani che si avvicineranno ai ruderi con il desiderio di farli rivivere…ognuno con le sue possibilità. La Casa nel prato era troppo grande per noi, troppo vicina ad un crollo che è forse peggiore di quello del tetto: quello di cedere alla cementificazione…sull’orizzonte della Casa del prato purtroppo non c’è solo il bosco che avanza, ma anche le gru delle nuove abitazioni, che nel loro stile chiassoso e non rispettoso non raccontano nulla. La vostra casa, il vostro frutteto parlano chiaro e con una bella voce dolce, come i vostri frutti!
ho provato un brivido nel leggere questa storia densa densa. Ho riprovato l’emozione di quando siamo entrati Gustavo ed io la prima volta nella nostra cascina vent’anni fa, si ben vent’anni fa. Avevamo lo stesso rispetto per le vite passate in quelle mura abbandonate, ma che per fortuna si percepivano ancora nonostante il silenzio del nulla.. Noi abbiamo salvato la nostra casa nel prato, l’abbiamo fatta rivivere rispettandola nelle sue rughe antiche. Ho provato anche una nota di tristezza: chi salverà Cascina Costa Antica quando non ci saremo più? forse un’altra Sara si avvicinerà a lei in punta di piedi curiosa e troverà un rudere…….. e cercherà di interpretare le vicende dei protagonisti che vi hanno vissuto, ma questa sarà un’altra storia