Storie di padri e di soldati da Cisano Bergamasco
Oggi (19 marzo 2016), si festeggia la Giornata del Papà e vorrei farlo raccontandovi dei tanti padri che dovettero abbandonare le proprie famiglie, i propri figli, i propri cari, per entrare in guerra. Vorrei farlo ricordando un papà in particolare: Battista Perego, padre di Ivo Perego (di Cisano Bergamasco). Grazie alla sua dettagliatissima ricerca, Ivo ha ricostruito tutte le campagne e le guerre a cui ha partecipato suo padre, recuperando documenti storici, diari di guerra e moltissime fotografie. In questa occasione, vorrei ricordare ancora una volta, la storia forgiata dalle generazioni a noi precedenti: generazioni di padri e soldati che hanno partecipato agli orribili conflitti mondiali.
Battista nasce nel 1917 ed a vissuto a Cisano Bergamasco, ha preso parte a diverse campagne su diversi fronti, nel 5° reggimento alpini: ha partecipato dal giugno del 1940 alle operazioni di guerra svoltesi alla frontiera alpina occidentale col 5° Reggimento Alpini (Tirano).
Ha partecipato dal 13 gennaio dello stesso anno fino al 23 aprile del 1941 alle operazioni di guerra svoltesi in frontiera greco albanese con 5°reggimento alpini. Si leggono poi le campagne di guerra a cui ha partecipato (Campagne di guerra 1941-1942-1943-1944-1945). Per questo portava sulla sua uniforme il distintivo, offerto dal governo di Albania, che venne consegnato a tutti coloro che parteciparono alle operazioni di guerra sul fronte albano-greco-jugoslavo.
Fu poi internato nel campo di concentramento (Fallingbostel), successivamente venne internato in un campo di lavoro, ad Hannower (campo di concentramento XI B) , nella cosiddetta RAW, ovvero i campi di lavoro destinati alla riparazione delle ferrovie di stato. Venne rilasciato nel 1944. Torno’ infine, a Cisano Bergamasco nel 1945 attraversando il Brennero.
Ho voluto riportare inoltre diverse testimonianze di alcuni soldati e ufficiali, che hanno voluto scrivere nero su bianco la loro esperienza in guerra. Quelle che propongo sono solo alcune righe delle centinaia di pagine che sono state ritrovate:
Tenente Arturo Vita (fronte russo)
“La temperatura si mantiene assai rigida e col passare del tempo la situazione non accenna a migliorare. A due Breda si è congelato l’olio e neppure il fuoco acceso da un riparo e non si riesce a sciogliere quel blocco di ghiaccio; anche un mitragliatore al centro della linea tace di colpo, alcune bombe a mano non riescono a scoppiare in quella soffice neve. I feriti adagiati accanto a due muretti invocano aiuto accanto alle isbe, ove il Tirano sta combattendo la battaglia per la salvezza dell’intera Colonna in ritirata; una trentina di artiglieri del gruppo Bergamo morti congelati ed abbracciati ai loro pezzi, nelle pose più drammatiche e tragiche, restano i muti testimoni dell’eroismo dei loro fratelli alpini. Così è finito per questi oscuri artiglieri, il tragico combattimento della notte innanzi, i cui echi da noi tutti che stavamo a Nikitowka, erano stati perfettamente uditi.
(…) Il capitano Grandi è stato ferito e scuote la grossa testa, ad un tratto però lo sentiamo sussurrare: “Tirano mai tardi!”… poi, dopo un attimo di silenzio, accenna ad intonare le prime parole della famosa e nostalgica canzone:” il capitano è ferito”, è un momento di profonda commozione per noi presenti:” l’é ferito e sta per morire…” ma non riesce più a continuare. Scossi dai singhiozzi piangono come bambini. Muti e silenziosi piangono come bambini, seguiamo la slitta sulla quale ci pare che Grandi continui tristemente a sorridere e così la colonna dei superstiti riprende la sua dolorosa marcia, mentre il freddo sempre più intenso, paralizza le nostre membra e tortura i poveri feriti ammucchiati, gettiamo uno sguardo alla tragica seletta, tomba del battaglione Tirano, con gli occhi pieni di lacrime. Ovunque cadaveri di alpini irrigiditi dal gelo della steppa, quanti magnifici eroi di quella gloriosa giornata, che la tragedia della guerra ci obbliga purtroppo ad abbandonare e lasciare in balia del nemico. Senza neppure il conforto di una piccola rozza croce, rimasero lassù a soli uno accanto all’altro, riversi sulla neve chiazzata di rosso, accanto alle loro armi che fino all’ultima cartuccia avevano sparato contro il tenace avversario.
(…) A pochi chilometri fuori dell’abitato mi avvisano che Grandi è spirato: mi avvicino alla sua slitta e sollevo la coperta che lo avvolge: dorme in pace ha il viso sereno. Ad un centinaio di metri di distanza mi indicano i muri di un isba semidistrutta lo adagiamo sul terreno gelato, dopo averlo ricoperto di un soffice strato di neve candida. Addio per sempre nostro valoroso comandante la tua lunga giornata terrena volge al termine. È il 27 gennaio 1943″.
Alpino Natale Facoetti
“Mi svegliai alle ore 6:00 circa, avevo bisogno di uscire faccio per aprire la porta fino a metà, ma un nostro alpino mi si è messo davanti per guardare se c’era ancora il suo mulo che aveva lasciato fuori la sera precedente. Così proprio in quell’istante ha preso in pieno una raffica di mitra facendomi scudo col suo corpo. Si creò nell’isba un panico generale: qualche mio compagno di sventura, circa una decina, tenta di uscire da una finestra ma inutilmente. E, tentarono da un’altra finestra ma anche quella era sorvegliata e il panico continuava ad aumentare. (…) Quando riuscimmo a raggiungere la stazione, trovai due russi e due ragazzini armati che per prima cosa mi hanno tolto l’orologio, la penna da scrivere, qualche marco di occupazione e mi hanno lasciato due foto: una della mia povera madre e l’altra della mia fidanzata. Intanto i colpi dei nostri, cadevano così da vicino che tutto tremava, tanti piangevano per le ferite e per i congelamenti e tanti pregavano. Così vicino a me seduto notai un alpino: i suoi scarponi, ma non vedevo le dita dei suoi piedi:” ti fa male?” chiesi, aiutandolo a fasciarsi i piedi con le nostre fasce grigioverdi: “ora non mi fa male”, “vedrai che il buon Dio ci sarà anche per te”.
Tenente Giovanni Piatti (medaglia d’oro al valore alla memoria comandante XIV Compagnia, fronte russo)
“La misericordia dell’Onnipotente mi diede salute denaro la vita serena la casa paterna ospitale una madre amorevole mi lascio conoscere le soddisfazioni terrene. Che altro avrei potuto esigere? Della lealtà ho fatto la mia scuola di vita punto e virgola sono stato fedele alle leggi. Fui circondato dall’amore di altre donne ma il più puro il più santo è il tuo o carissima mamma o tu che sempre mi hai dato senza nulla chiedere. (…) Ma è tardi: forse è la stessa volontà di Dio che ha voluto riservare il ricordo di me nel cuore di una sola di te, mamma, perché da te fosse santificato al di fuori di ogni idea pura. Non piangere, perché noi soli siamo in comunione perenne ed io ti ho preparato, nell’alto dei cieli, ove le stelle indorano le azzurre vie dell’infinito, la nostra casa comune eterna”.
Alpino Guerino Giudici (XLVI compagnia fronte russo)
“Fui distolto dal mio fantasticare da una domanda che mi fece l’alpino seduto al mio fianco, il quale mi chiese informazioni sul battaglione Tirano: a lui risposi che anch’io facevo parte del Tirano, 46esima compagnia, la quale era accantonata nel vicino capannone. Quell’ alpino ebbe un sussulto, ed esclamò: ” è la mia compagnia! finalmente l’ho ritrovata, quanto ho tribolato per raggiungerla! l’avevo persa a Podnorgoje”. Mi voltai e lo guardai, non lo conoscevo, ma in quello stato difficilmente lo avrei riconosciuto. Fui colpito dall’espressione del suo sguardo, al battaglione del fuoco, i suoi occhi emanavano qualcosa di profondo umano impossibile e descrivere direi che non fosse altro che la gioia nella sofferenza. Lo guardavo con attenzione e mi faceva pena, dimenticavo me stesso, che condividevo le sue condizioni. Scarno, gli occhi affossati nelle occhiaie, la barba rada e irta gli copriva il mento e le guance, in parte coperte da un passamontagna, sopra il quale stava ben calcato il cappello alpino deformato. Teneva il fucile a tracolla ed una bisaccia che penzolava sui fianchi. Chissà quale miseria quella bisaccia racchiudeva in sè”.
Alpino Silvio Bresesti (fronte greco albanese e russo, XIX Compagnia)
Nevicava con fiocchi grossi come noci. La compagnia la quarantottesima era ordinata. Un freddo boia ma sopportabile. Era la fame che ci rodeva. Un alpino scoprì dei recipienti con una mistura che pareva marmellata. Quasi tutti addosso a quei recipienti. La specie di marmellata aveva un sapore dolciastro è strano. Ne mando giù due belle manate con me. Non passo nemmeno un quarto d’ora che sentii nel ventre un piccolo inferno. Mi sedetti a terra e cercai di vomitare. Niente da fare. Svenni. Quando tornai cosciente attorno a me era un solo lamento. Mangili di Carvico, il mio attendente, cercò di rimettermi in piedi. Mi sentivo sfinito, la vista era annebbiata. Mi coricai di nuovo a terra. Nel capannone, chi gridava, chi piangeva, chi, come me, pensava ormai di chiudere i giorni, convinto che i sovietici avessero avvelenato quella specie di marmellata.
Sottotenente Antonio Marzotto Caotorta (Comandante 3° plotone della XLVIII Compagnia fronte greco- albanese)
“17 novembre alle 4 e mezza, ieri partiti dalle case. Si va in linea, in fila indiana. È una certa emozione. Si sale per circa un’ora, in una valle brulla. Dopo circa un’ora ci si ferma. Decobelli raccoglie le compagnie e raccomanda di stare in gamba! Si risale ancora in valle. Viene notte. Si trova la 49^ compagnia e la comando, che tornano indietro dicendo che erano troppo esposti. Ciò ha un effetto deleterio sulla morale degli uomini. noi proseguiamo e un po’ e pieghiamo a sinistra. Si traversa il ruscello e ci si addossa a un costone. Lasciamo gli uomini e noi ufficiali proseguiamo a riconoscere il costone. Al buio e un vento maledetto. Decobelli segnala con la pila al comando di battaglione e subito si sentono fischiare due pallottole. Dobbiamo sistemare la difesa sul costone. Vado a prendere il plotone. Domani ci si aspetta un attacco con un tiro potente. (…) 29 novembre accanto al fuoco. Da ieri si comincia a stare meglio. Ieri pomeriggio arrivò la spesa finalmente e anche munizioni e da oggi si mangerà normalmente. Il tempo continua essere bello e non è troppo freddo. Si che gli animi si sono rasserenati e distesi. Ieri poi si è sentito sparare e pare che i greci non ci siano più avanti a noi. Così ieri sera siamo stati davanti al fuoco fino alle 10. (di solito si va a letto a buoi come le galline, al mattino ci si alza alle 9). Ed avendo la pancia non dico piena ma che non reclamava, ieri sera si chiacchiero’ un po’ di tutto. Si parlò degli Italiani e dell’Italia e di quello che valgono. Prima di tutto gli uomini prestavano molta fiducia nella Germania. “Ci vorrebbe quella ad aiutarci! Quella farebbe presto”. Al che, naturalmente, obiettavo che noi vogliamo fare da noi e non abbiamo bisogno di nessuno. Pedra, poi disse una frase che sintetizzava l’opinione di tutti loro: “Ho idea che in Italia non ci sia organizzazione che non si possa riuscir bene in quello che si fa, perché non s’organizza bene”.
Ringrazio Ivo Perego per avermi fornito i diari, i documenti e la dettagliata ricerca su suo padre, Battista Perego.