Una testimonianza da Barcellona
Attacco terroristico a Barcellona. Il pensiero corre subito a Rita, che a Barcellona ci vive ormai da anni.
Rita Vassena ha ancora un forte legame con Monte Marenzo e la sua famiglia. L’abbiamo conosciuta quando faceva la volontaria in Biblioteca, quando studiava, si laureava, andava in giro per il mondo (Canada, Stati Uniti) e poi si trasferiva definitivamente a Barcellona dove e’ direttore scientifico della clinica Eugin, una delle più grandi d’Europa e centro di riferimento internazionale per il trattamento della sterilità.
Con Rita ci sentiamo ancora qualche volta via facebook e ci scambiamo impressioni sulle nostre letture.
Le chiedo allora se se la sente di scrivere qualche pensiero per UPper. Ci pensa un po’ su, non garantisce nulla, ma poi stasera trovo nella posta una sua mail.
Eccola:
Cosa ci succede quando la tua cittá é vittima di un attacco terrorista? Non parlo delle immagini terribili che si succedono in TV, ma cosa succede ai suoi abitanti, a chi, come me, a Barcellona ha messo radici da anni, a chi la considera casa?
Ieri pomeriggio alle 17.30 ero al lavoro, concentrata nella preparazione di un documento, quando arriva un messaggio da un’amica di Bilbao che suona come una pistolettata:
State bene?
Perché, é successo qualcosa?
Guarda la Vanguardia…
La Vanguardia é il quotidiano di Barcellona, e sul suo sito web c’erano giá le prime notizie, un succedersi rapidissimo: c’é stato un “atropello” (un investimento) sulla Rambla de Canaletes…I Mossos (abbreviazione di Mossos d’Esquadra, la polizia della comunitá autonoma) sono sul posto… probabile incidente di matrice terroristica…un morto…no, tre morti…20 feriti…no, 50 feriti…spari nella Boqueria, persone rifugiate nei negozi, negli hotel…lasciare libero il centro, non avvicinarsi a Plaza Catalunya..
Cerco con gli occhi i colleghi, ci guardiamo senza sapere cosa dire, cosa fare, usciamo dagli uffici nei corridoi, scambiamo commenti vacui: ”Has visto? Que ha pasado?”. Poi inizia la reazione a catena. Si mette da parte per un momento lo straniamento, lo stupore, il sentirsi inermi e insicuri, e si fa.
Il fare, da sempre, a Barcellona “se lleva”, va di moda.
Barcellona, forte della sua storia imprenditoriale e commerciale, da sempre reagisce con l’azione, con attivarsi, con il rimboccarsi le maniche. Nel nostro piccolo inmediatamente contattiamo tutti i dipartimenti, sono piu’ di 250 persone…Stiamo tutti bene? Siamo tutti salvi? Le nostre famiglie? E i nostri pazienti? Sono bloccati in centro? Possono tornare a casa? Come possiamo aiutarli?
Intanto i nostri telefoni “crujen”, bruciano, messaggi da amici, familiari, conoscenti… State bene? Tutto a posto? Ho visto le notizie…
Alle 18.30, controllati i bisogni più urgenti nella clinica, mi avvio verso casa. A piedi, come d’abitudine. É una mezz’ora lenta che mi godo quotidianamente, camminando tra i negozi del mio “barrio”, comprando il pane per la cena, passando tra i tavolini dei bar sui marciapiedi. Ci sono famiglie con passeggini, chi porta giú il cane, chi fa una “tapa” prima di cena, i negozi di alimentari e generi vari aprono fino alle 21.00 e appena il caldo si fa sopportabile si riempono per gli acquisti della sera.
Oggi é diverso. Oggi solo silenzio, un silenzio irreale.
Si parla sotto voce, i passanti attaccati ai telefoni, mandando messaggi, frammenti di frasi colte al volo mentre mi passano accanto: “dicen que fue terorismo” “los Mossos han cogido a uno” “nosotros bien gracias a Dios, y vosotros?” “esto es un sin sentido”. Ci si guarda l’un l’altro, ci si riconosce pur senza sapere chi siamo: quelli di qui, i locali, quelli del barrio.
Sembra che uno degli attentatori sia ancora libero, e scatta la cosiddetta “Operación Jaula” (operazione gabbia), una misura del protocollo anti terrorismo che prevede il blocco di tutte le strade d’accesso alla cittá da parte delle forze di polizia, che controllano una a una tutte le vetture in transito.
A casa ci si raggruppa attorno alla televisione, si dà una carezza ai più piccoli, ci si stringe ai nostri cari, non si può evitare di pensare: poteva succedere a me, poteva succedere a noi, ero in Plaza Catalunya ieri, a Portal del Angel sabato scorso…
Lo spazio pubblico a Barcellona é un’estensione delle case, per strada si mangia, si festeggia, si gioca, ci si vuole bene e si litiga, per strada ci si riposa e si fa sport, si crea arte, si compra, si vende.
Barcellona “se comparte” (si condivide), Barcellona é generosa come la sua gente, piena d’iniziativa.
Ed allora ecco le donazioni spontanee di sangue cosí abbondanti che el “Banc de sanc i teixit” (la banca del sangue pubblica) lancia un annuncio spiegando che grazie a tutti giá non c’é emergenza. Ecco allora i Mossos in vacanza o in licenza per malattia che si offrono volontari per aiutare, gli interpreti che chiamano gli ospedali mettendosi al servizio dei tanti feriti stranieri, i taxisti che ricongiungono le famiglie negli ospedali, e le tante, tantissime persone comuni che aprono le loro case a chi ne ha bisogno, che portano cibo e acqua alle migliaia di pendolari bloccati per ore in macchina nelle vie d’uscita della cittá.
Questo impeto di generositá, questa mano tesa nel mezzo della violenza vivono nel tessuto di Barcellona, sono parte del suo DNA, e sono la garanzia che ci solleveremo, che non ci soffocherá l’odio, e che i secoli di apertura al mondo che hanno fatto di Barcellona la comunitá cosmopolita che é non verrano scalfiti dall’operato di pochi criminali.
Visca Barcelona!
Rita Vassena
Rita ci manda anche una foto “simbolo” e ce la spiega:
Questo é un “castell”, una torre umana di più piani tipica del folklore catalano.
Per costruire i castells, i castellers fanno “penya”, ossia si stringono forte gli uni agli altri alla base, cosí da scaricare tutti insieme il peso dei piani superiori, rendendo possibile castells di anche 7 piani di persone.
Fare penya é una espressione tipica catalana che si usa quando si vuole unire gli sforzi nella stessa direzione, tutti insieme, contribuendo ciascuno come puo’.
In questi giorni tutta Barcellona sta facendo Penya.
Rita
Grazie Rita per la tua testimonianza.
Anche se il commento di Rita riguardo un evento luttuoso e tristissimo come Angelo ha già rilevato, ho apprezzato la testimonianza che ci arriva da Barcellona che ci fornisce una lettura dell’evento davvero visto dall’interno e ci fa sentire il clima di coesione che caratterizza quella popolazione. E’ davvero significativa l’immagine della ” penya ” perchè rappresenta con grande efficacia lo spirito di quel popolo e la volontà di non cedere alla barbarie. Grazie Rita ( che non conosco ) per la sensibilità con la quale ha voluto raccontarci l’evento da un punto di vista personale ed umanissimo.
Rita sta vivendo quello che la mia generazione visse in Italia al tempo del terrorismo (fine anni ’60 sino ai primi anni ’80). Non c’era internet. Ogni volta che la TV interrompeva le trasmissioni per mandare un’edizione straordinaria del telegiornale ti veniva un nodo allo stomaco. Le immagini che scorrevano erano identiche a quelle della Barcellona di ieri. Cambiano le cause, i carnefici, i mandanti, i metodi, ma le pose sgraziate dei morti per terra, lo smarrimento sui visi dei feriti e dei testimoni sono gli stessi. Anche in quegli anni l’orrore sembrava non finire mai. Milano, Brescia, Bologna. E poi decine di altri drammatici scenari. La stragrande maggioranza delle donne e degli uomini di buona volontà che non hanno ceduto alla paura, che sono rimasti aperti alla democrazia, che non sono arretrati di un millimetro rispetto alla legalità, alla solidarietà, al valore della convivenza, alla fine hanno vinto. Così come avverrà anche per questo periodo buio.
Grazie Rita. Un abbraccio a te e alla gente della tua Barcellona.