Quando la passione per il motociclismo era una categoria dello spirito
Il nostro amico Angelo Fontana, di sicuro turbato da tanti giovani vittime di incidenti stradali, da anni promuove eventi e momenti di raccoglimento a scopo educativo e di prevenzione. Questo lo porta a cercare persone che siano testimoni di come è importante guidare con giudizio, non distrarsi con lo smartphone, allacciare bene il casco, e così via.
L’ultima scoperta è Roberto Barazzetta di Calolziocorte. La sua storia, ripresa anche dal quotidiano “Il Giorno” del 18 agosto, è di un non più giovane appassionato di motociclismo che, ora, quando fa un giretto con lo scooter a volte dimentica di allacciare il casco. Angelo ha strappato a Roberto una pubblica promessa: non farà mai più una simile omissione.
Roberto lo conosco. Quando leggo, appassionato di motociclismo, so che si evoca un’epopea dove questo sport era una diretta esperienza sensoriale, un’avventura dello spirito, dove ai campioni non chiedevi l’autografo perché ci dialogavi come con un amico, dove le loro straordinarie moto le toccavi con mano. Ognuna con la sua voce che ti forava il timpano tanto eri vicino, ognuna col suo gusto di olio bruciato che ti limava la gola. Niente a che vedere con il motociclismo attuale, con divi inaccessibili, motorhome principeschi e griffati, paddock vigilati meglio di Fort Knox.
Si andava a Monza per il Gran Premio Motociclistico delle Nazioni per tre giorni di fila. Portavamo tutto il necessario da casa, comprese gran parte delle tribune che si montavano a ridosso delle reti di protezione: pali, assi da muratore, chiodi e fil di ferro. E poi bevande e bistecche impanate avvolte in carta oleata.
Terminate le prove si andava nei retro box e lì incrociavi i campioni, e gli rivolgevi la parola:
“Ciao Mino (Agostini), ma è vero che lasci la Morini per la MV?”
“Ciao Paso (Pasolini), mi sembra che la Benelli sia forte quest’anno.”
Alzavi la mano e:- Hello Mike, salutavi Hailwood. Uno dei più grandi motociclisti di tutti i tempi, capace di vincere nella stessa domenica tre gare in cilindrate diverse, 250, 350, 500. Lui, gentile, rispondeva al saluto. Peccato, veramente un peccato che dell’inglese sapevi dire solo: – Hello! Tra sgasate frastornanti e stracci impregnati d’olio incontravi Taveri e Villa, manici delle piccole cilindrate, Tarquinio Provini, Spaggiari, Bergamonti, che si schianterà nel ’71 sotto un nubifragio sul circuito cittadino di Riccione.
Eri rapito dai meccanici che smontavano con gesti sapienti questi motori meravigliosi sotto i tuoi occhi. I piloti meno noti si spogliavano della tuta e la moto la sistemavano da sé. Poco distante la moglie, a fianco del furgoncino adibito a camper/ motorhome/officina, preparava sul fornello da camping sontuose pastasciutte. Si sognava di saltare in sella di moto che non ci sono più: Mondial, Aermacchi, Paton…
I meccanici giapponesi erano gli unici a maneggiare i preziosi pezzi in guanti bianchi, e non in senso figurato. Qualche anno prima, i figli del Sol Levante si aggiravano a frotte nei retro box armati di luminosi sorrisi e di macchina fotografica. Riprendevano tutto, anche i particolari più minuti e insignificanti. Noi, appassionati di motociclismo e anche un tantino provinciali (ovviamente parlo per me), ci si rideva sopra e un po’ li compativamo. Salvo poi abbozzare quando nel giro di due anni schierarono il frutto di questo loro bizzarro interesse: Honda, Yamaha, Suzuki…
Appassionato di motociclismo significava essere immerso totalmente in questo mondo perduto, come ancora si legge negli occhi di Roberto Barazzetta mentre accarezza la sua MV Agusta d’epoca (vedi foto sotto).
Adesso tutto è lontano e mediato dalla comunicazione digitale. Lo show, il business, l’ipertecnologia, i box immacolati, senza una macchiolina d’olio, lasciano orfani i sensi di alcuni stimoli e di emozioni vere, quelle che viaggiano da corpo a corpo.
Una delle poche consolazioni, per noi appassionati d’antan, è sapere che il progresso ha migliorato in modo esponenziale l’incolumità dei piloti in pista, mentre, ahimè, si sta facendo ancora troppo poco per la sicurezza del normale utente della strada.