L’assassinio del vecchio impagliatore di sedie
Quand’ero piccino e le ore di luce estiva allungavano le giornate, a Monte Marenzo arrivava l’impagliatore di sedie.
Era vecchio, magro, allampanato, sulle spalle portava una rastrelliera con gli attrezzi della sua arte. Non so da dove venisse e con quale mezzo, perché io lo vedevo solo fare gli ultimi dieci passi per arrivare all’osteria dopolavoro di Meca, dove nel cortiletto insediava il suo laboratorio.
Tra casa mia e l’osteria c’era il pollaio di Meca e non mi era di nessuna difficoltà piazzarmi con la mia carrozzina da mattina a sera a contemplare i gesti liturgici dell’impagliatore. Lui non si curava della mia presenza e tantomeno mi rivolgeva parola, ora mi piace pensarlo per indole taciturna e per la troppa differenza d’età. Pe me l’importante era concentrarsi su quelle mani, zolle di terra secca con le dita in impercettibile movimento, risultato di anni e anni di azioni distillate, non una di meno non una di più del dovuto per aggiustare e impagliare una sedia a regola d’arte.
Si cominciava con quelle dell’osteria. Il vecchio, tolta l’impagliatura malandata, girava e rigirava lo scheletro della sedia, lo poggiava a terra e lo scuoteva per sentire se era sghingherada (sgangherata), se gambe e traversine manifestavano l’intenzione di lasciare gli incastri dove dovevano risiedere ben rinserrate.
Qualche elemento di legno andava quasi sempre sostituito. Allora la maestria cominciava a manifestarsi. L’impagliatore prendeva il tronchetto di castagno ben stagionato che gli avevano preparato, ne esaminava scrupolosamente l’andamento delle fibre, impugnava un’ascia dal manico cortissimo e zac! il listello si staccava di netto nel punto voluto, che neanche i tagliatori di diamanti di Amsterdam… Si metteva a cavalcioni su di una panchetta che si era portato appresso: era la geniale morsa portatile. Con i piedi spingeva una leva, le ganasce stringevano il pezzo e cominciava a lavorarlo con il cortél de segi (coltello a petto). Non vi sto a descrivere il film dell’azione, ma se il traversino doveva essere cilindrico, credetemi, usciva come se fosse passato al tornio. Così come, se doveva sostituire una gamba, la ricostruiva esattamente con la stessa dimensione e piegatura della corrispondente ancora in buono stato. Tutto combaciava, compresi i buchi fatti col girabechì (succhiello).
Sistemata la struttura iniziava l’impagliatura. Il vecchio sfilava qualche stelo dal mazzo di carècia (paglia di fiume), ai quali aveva fatto perdere il vigore pur mantenendone l’elasticità, e cominciava a rollarli fino a farne un cordone robusto. Quando arrivava al capo della corda ne innestava altri e continuava a torcerli e così via. In quelle mani color terra quella corda sembrava infinita, si animava di vita propria e tesseva sul sedile disegni geometrici perfetti, in genere quattro triangoli. Ad opera terminata la sedia annunciava la sua rinascita odorando di castagno e di fieno. Sarebbe bastato poco perché dentro l’osteria in tempi rapidi tornasse ad essere impregnata di fumo e di vino.
Da un quartino di terra il vecchio si concedeva un fiato di rosso scuro di Manduria (chissà se il sole di Puglia aveva mai visto giungere a maturazione quei grappoli?) e dava un morso a mezzo sigaro toscano tolto dal taschino di un gilè liso.
Questo era il momento dove agli spettatori (il sottoscritto) concedeva un vero e proprio coupe de theatre. Dopo aver amalgamato per bene il tabacco con denti non più visibili nell’antro nero della bocca, sputava sull’impiantito di cemento. Lo schizzo saettante rimbalzava e risuonava come se in terra fosse caduta una moneta di una volta, quella da venti lire color oro. Rimanevo sempre estasiato da un esercizio di così rara maestria.
Un giorno a casa mia sostituimmo il mastello di lamiera zincata con uno di plastica. Fu in quel periodo che il vecchio impagliatore di sedie non tornò più a Monte Marenzo, probabilmente anche lui ucciso dal moplen.
Angelo Gandolfi
Grazie Angelo, hai fatto tornare l’impagliatore di sedie a Monte Marenzo. Il Moplen non l’ha ucciso….
È uno degli ultimi lavori di quegli artigiani di un tempo che, con pochissimi strumenti di lavoro e con l’ abilità delle semplici mani, riuscivano nel loro intento, soprattutto grazie alla loro esperienza storica. Il racconto è una meraviglia. E anche divertente, perchè vissuto attraverso gli occhi di un bambino. Ho imparato molti termini a me sconosciuti. Grazie, Angelo. È gradevole leggerti.
Un bel ricordo grazie Angelo
Ripeto il commento di Emilio. L’impagliatore di sedie mi ha riportato a quanto ero piccino e al mio paese arrivava questo uomo.
I tempi sono cambiati ma l’impagliatore di sedie c’è ancora
Angelo, ogni volta che leggo una cosa tua, mi emoziono sei un mito, grazie