Esseri viventi
L’agente George Town camminava lungo il corridoio del comando di Polizia con passo deciso ma un po’ più lento del solito. Nella sua mano sinistra, teneva con attenzione un grande vaso di terracotta, nel quale cresceva una pianta esotica che sembrava provenire da un altro mondo con grandi foglie oblunghe verde scuro tendente al blu ed alcune infiorescenze bianche all’apice di lunghi steli aperti dallo spadice di color rosso purpureo. Qualcosa di decisamente fuori posto per l’ambiente che lo circondava.
George Town era un uomo di principio, meticoloso nei dettagli e rigoroso a tutte le leggi. Aveva dedicato tutta la sua carriera a garantire che ogni norma venisse rispettata alla lettera. Era stato anche premiato per questo: gli era stata assegnata la ‘Medaglia del servizio distinto della Commissione di polizia’, un piccolo encomio che George aveva fatto incorniciare ed appeso nel salotto di casa accanto al televisore da 40 pollici.
La sua reputazione di uomo infallibile nell’applicare la legge lo precedeva, ma non sempre gli altri lo apprezzavano quando attirava l’ira di potenti influenti, come quella volta che aveva prescritto una contravvenzione al senatore Davis, colpevole di aver parcheggiato il suo fuoristrada in un luogo di sosta riservato ai disabili.
L’agente arrivò finalmente davanti alla porta del comandante, che lo guardò con un’espressione perplessa non appena la pianta fece capolino dalla porta socchiusa.
“George, che diavolo… cos’è quella roba?” chiese il comandante Wallace, alzando un sopracciglio.
L’agente Town entrò con calma, posando delicatamente il vaso sul tavolo del suo superiore.
“Comandante,” disse Town, sistemandosi sulla sedia con estrema attenzione, “Questa è una Strelitzia Nicolai che tanti chiamano ‘Uccello del Paradiso’. Mia moglie la tiene esposta a pieno sole accanto alla grande portafinestra che dà sul giardino, ha presente Comandante?”. L’agente omise che sua moglie Evelyn lo aveva rincorso urlando quando lo aveva visto prelevare la sua pianta dal salotto.
Wallace lo guardò stupefatto, cercando di capire se l’agente Town fosse impazzito e se fosse necessario chiamare qualcuno nel Dipartimento specializzato a gestire casi di squilibrio mentale. Nel dubbio cercò di assecondare l’Agente.
“D’accordo, d’accordo George. Ma perché porti una pianta in ufficio?”
“Comandante, sono qui per una consulenza in merito a una questione legale di importanza cruciale. Ho seguito il protocollo per tutta la mia carriera, ma questa volta ci sono dei dettagli che richiedono il massimo della precisione. E’ un problema legato all’ultima legge varata dal presidente Trump, la legge sugli ‘esseri viventi non autoctoni’. La legge stabilisce che ogni forma di vita non autoctona debba essere ‘rimpatriata’. La legge dice ‘essere vivente’ e non ‘esseri umani’. Quindi la domanda che mi assilla è questa: cosa dobbiamo fare con le piante e gli animali che non appartengono al nostro ecosistema naturale?”
Il comandante Wallace stava per rispondere con una battuta, ma si fermò, rendendosi conto che la domanda di Town non era solo teorica. Non c’era nulla di astratto nel suo approccio, tutto era strettamente legato alla legge. Una legge che avrebbe potuto costringere a eseguire azioni draconiane.
“George,” disse infine Wallace, “sai che non sono uno che si preoccupa dei dettagli burocratici, ma questo è decisamente fuori dalla mia portata. La pianta che hai portato qui, sembra… una specie tropicale, no?”
“Esattamente, comandante,” rispose Jackson, mantenendo il tono serio. “Una pianta originaria del sud Africa, portata qui per scopi decorativi. Ora, secondo la nuova legge, è un ‘essere vivente non autoctono’. E il termine ‘rimpatriare’ mi lascia perplesso. Devo rimandarla nel suo paese d’origine?”
Il comandante Wallace sbuffò, poggiando la testa tra le mani. “Non pensavo che dovessimo occuparci di piante tropicali. È un problema più grande di quanto pensassi. Ma se la legge dice che deve essere rimpatriata, forse dovremmo procedere con un ‘espatrio’ vegetale.”
Jackson fissò il suo superiore. “Con tutto il rispetto, comandante, non credo che questa pianta possa essere semplicemente ‘rimpatriata’ come se fosse un criminale in fuga. La legge non fa distinzione tra esseri viventi con cervello e senza cervello. E se dovessimo applicarla pedissequamente, ogni pianta esotica, ogni animale importato, sarebbe a rischio di essere eliminato, non importa quanto innocuo o utile sia.”
“L’applicazione della legge con eccessivo zelo potrebbe causare danni enormi. Pensi a chi si è affezionato ad un animale che geneticamente non è del nostro Paese, oppure a quante persone amino coltivare o mangiare vegetali non autoctoni. O anche chi ama tenere piante in casa per abbellirla come mia moglie Evelyn o sua moglie. E rimpatriare piante e animali non ci assicura che quegli ‘esseri viventi’ poi possano continuare a vivere.”
“Cosa suggerisci allora?” chiese Wallace.
“La soluzione ideale sarebbe quella di sollevare il problema con le autorità superiori. Non possiamo agire unilateralmente.”
Il comandante si passò una mano sul viso. “Quindi vuoi che prepari una relazione per Washington?”
“Esatto, comandante. Mi piacerebbe che avessimo una risposta chiara, una volta per tutte. Non possiamo permettere che la legge venga applicata in modo rigido senza considerare le implicazioni. Dobbiamo trovare un equilibrio tra l’ordine e la realtà. E questa pianta,” Town indicò il vaso, “è un piccolo esempio del caos che potrebbe sorgere.”
Il comandante Wallace fece un gesto impaziente, scuotendo la testa come se non volesse sentire altre complicazioni. “George, la legge è chiara. Non è il momento di fare discussioni filosofiche su cosa significa ‘essere vivente’. La legge dice ‘rimpatriare’. E tu sei qui per eseguire, non per fare domande.”
Town si mantenne serio. “Ma comandante, questa pianta… questa pianta ha vissuto per anni in questo paese senza causare danni. È solo una decorazione. La legge non ci consente di trattarla come un criminale in fuga.”
“George,” lo interruppe Wallace, “sai cosa fare. Non sono qui per sentire i tuoi dubbi legali. Datti da fare. La legge non fa eccezioni, e questa pianta non fa differenza. Procedi con l’espatrio di tutti gli esseri viventi non autoctoni, compreso questa… questa cosa verde che hai portato qui.”
L’agente Town rimase immobile per un istante, sorpreso. Non era mai stato messo davanti a una tale richiesta. Il comandante lo stava spingendo a eseguire senza esitazione, senza spazio per la riflessione. Era la prima volta che qualcuno gli ordinava di agire senza considerare le implicazioni morali di quell’atto.
“Comandante, con tutto il rispetto,” rispose Town, finalmente, “non posso fare ciò che mi chiede senza una giusta interpretazione della legge. Se ‘rimpatriare’ significa distruggere tutto ciò che non è autoctono, dovremo affrontare le conseguenze legali e morali di una simile azione. Le piante, gli animali, potrebbero sembrare insignificanti, ma sono esseri viventi. Non possiamo ignorare che hanno un valore ecologico e biologico. Procedere con un’azione così drastica senza una discussione più profonda potrebbe causarci più danni che benefici.”
Il comandante lo guardò fisso, con una vena di irritazione che iniziava a emergere. “George, tu sei un uomo di legge, ma sei anche un uomo di dovere. La legge è stata approvata, e non siamo qui per fare interpretazioni. Non ci sono più eccezioni. La legge deve essere applicata. Se sei troppo ‘scrupoloso’ per seguirla, allora forse non sei il tipo di agente che ci serve. Non ti sto chiedendo di fare filosofia. Ti sto chiedendo di eseguire l’ordine.”
George Town ripensò al termine ‘esseri viventi’ e sapeva che sono tutti gli organismi che crescono, si nutrono, respirano, si riproducono e muoiono. Non solo le piante e gli animali, ma anche le donne e gli uomini. E i bambini…
Per la prima volta nella sua lunga carriera, George Town si trovò in una situazione che metteva in dubbio tutto ciò in cui aveva sempre creduto. Si sentiva intrappolato tra l’obbligo di rispettare l’ordine e la sua profonda convinzione che quello che stava facendo non fosse giusto. Ogni fibra del suo essere gli gridava di fermarsi, di chiedere una revisione della legge, di difendere la dignità di ogni forma di vita, anche quella che sembrava insignificante.
Ma il comandante aveva parlato. L’ordine era chiaro.
Allora Town si alzò lentamente dalla sedia, guardando la pianta come se fosse l’ultimo legame che aveva con la sua integrità.
“Comandante,” disse infine, con una calma che nascondeva la frustrazione che stava provando, “questa sarà la mia ultima missione sotto il suo comando. Non posso fare quello che mi chiede. La legge ha bisogno di una revisione, e io non posso, in buona coscienza, eseguire un ordine che ritengo sbagliato.”
L’agente Town si voltò verso la porta lasciando sul tavolo la pianta esotica ormai simbolo di quella che sarebbe stata la sua ultima azione in quella divisione. Non si sentiva un traditore. Si sentiva solo un uomo che, per la prima volta, aveva avuto il coraggio di fare qualcosa che la legge non gli permetteva.
Grazie anche alla splendida Strelitzia dell’Africa australe che si è prestata, altera e silenziosa, ad essere protagonista di questo ‘apologo morale’, sommesso ma incisivo, che pare venire dai sapienti di un lontano passato ed è, invece, cronaca dei nostri giorni
Con ironia e rigore logico Sergio dimostra come anche l’uomo più potente della Terra, se animato da rancore razzista e spregio della democrazia, può essere più stupido del tacchino più stupido sacrificato nel Giorno del Ringraziamento.