Il discorso di Maya Shah per la medaglia d’onore al bisnonno Alessio Centenaro
Il 26 marzo abbiamo pubblicato l’articolo della consegna di cinque Medaglie d’Onore alla memoria di cittadini italiani residenti nella Provincia di Lecco, deportati o internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra nell’ultimo conflitto mondiale (qui il link all’articolo). La cerimonia è avvenuta nel grande atrio della Scuola Primaria di Monte Marenzo intitolata ad “Abele Colombo”.
Ieri mattina in Redazione è arrivato un messaggio vocale di Marilena Chiari, nostra Socia fondatrice, che ci ha raccontato le sue impressioni (ed emozioni) sull’attenzione dei bambini durante la cerimonia e alle parole senza retorica di tutte le Autorità, ma con una capacità comunicativa straordinaria. Una solennità non formale e bellissime sono state le parole del Sindaco Paola Colombo.
Marilena è moglie di Gustavo Centenaro (anche lui nostro Socio fondatore e primo animatore del nostro sito web) ed abitano a Monte Marenzo da molti anni a Cascina Costa. Gustavo è il figlio di Alessio, uno delle persone premiate alla memoria ieri.
Alla consegna delle medaglie da parte del Prefetto di Lecco, Sergio Pomponio, sono stati chiamati a riceverla Gustavo e suo fratello Giovanni. Accanto a loro anche Silvia, figlia di Gustavo, e le pronipoti di Alessio: la piccola Nina, che teneva in mano l’immagine del bisnonno, e la pronipote diciottenne Maya Shah, che al microfono ha letto messaggio.
Maya ha ricevuto i complimenti da parte di tutti i presenti che hanno ascoltato con attenzione la sua ricerca e il suo commovente messaggio. Poi, ieri sera, Maya ha inviato alla posta di UPper il suo intervento e la ringraziamo. Eccolo.
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Maya Shah
Monte Marenzo, 26/03/2025
Signore e signori, Autorità presenti,
grazie per avermi dato questa opportunità per onorare la storia del mio bisnonno Alessio Centenaro e la sua silenziosa resistenza.
Però oggi celebriamo anche il coraggio di Luigia, Giovanni e Gustavo, insieme a quello di migliaia di Internati Militari Italiani che con fermezza hanno scelto l’onore alla comodità e la dignità alla sopravvivenza.
Lasciate che ripercorra con voi la memoria di Alessio Centenaro.
Immaginate: è agosto, fa caldo, e la trebbiatura del grano è appena terminata. Siete un carabiniere, più precisamente un cavaliere alla guardia del re, proveniente da un paese immerso nella quiete della campagna veneta. Il vostro lavoro vi porta a conoscere luoghi come Palermo, la Grecia, Verona, Roma e Venezia, comunità e persone diverse, sempre animati dal desiderio di garantire giustizia e protezione.
Siete sposati con Luigia, una donna forte e decisa, pilastro della famiglia, e insieme avete due bambini, Giovanni (mio pro zio) e Gustavo (mio nonno), che oggi sono qui con noi.
Vi trovate in ex-Jugoslavia, lontani da casa a causa della guerra. È l’8 settembre 1943, ore 19:42; ascoltate la radio e il maresciallo Badoglio annuncia l’armistizio che l’Italia ha firmato con gli Alleati. In quel momento, senza ancora comprenderlo pienamente, tutto per voi cambia.
Da qui in poi la testimonianza che racconterò accomuna tutti i reduci dell’internamento, nella quale immagino anche le storie degli altri militari oggi onorati possano identificarsi.
Voi carabinieri, insieme a tanti altri soldati italiani, diventate nemici agli occhi di coloro che erano, fino a pochi istanti prima, vostri compagni. Venite caricati su treni sovraffollati in condizioni disumane e deportati in Germania, insieme a migliaia di carabinieri, soldati e ufficiali italiani.
Non siete più considerati prigionieri di guerra, status che vi avrebbe garantito i diritti della Convenzione di Ginevra, ma piuttosto “Internati Militari Italiani”. Non è solo una questione di nome: questo nuovo status vi nega ogni diritto. Vi impongono un lavoro coatto, come se foste schiavi, con l’obiettivo di spezzare la vostra resistenza morale e convincervi ad arrendervi e ad aderire alla neonata Repubblica Sociale Italiana di Mussolini. Voi resistete, silenziosamente, attraverso rifiuti pacifici, in un clima intriso di violenza.
È proprio questa vostra resilienza che vi permette di sopravvivere. I militari tedeschi, riconoscendo la vostra disciplina, vi offrono più volte la possibilità di “salvarvi” chiedendovi di unirvi alle loro fila, ma voi rifiutate sempre, scegliendo l’integrità morale, anche quando l’unica altra via di fuga sembra essere la morte.
Ogni giorno ricevete un piatto di brodaglia, pane nero e se siete fortunati qualche pezzo di rapa che galleggia. Ciò che vi tiene in vita però, sono le bucce di patate recuperate dagli scarti del rancio dei soldati tedeschi.
Dopo mesi estenuanti di lavoro nell’industria bellica, venite trasferiti a Erfurt in uno zuccherificio, dove riuscite a sopravvivere con le poche calorie dello zucchero recuperato di nascosto. Sarà questa la vostra salvezza.
Maggio 1945: finalmente, dopo mesi di sofferenza e privazioni, riuscite a scappare con un amico conosciuto proprio in quei campi.
Attraversate a piedi l’Europa devastata dalla guerra, con un solo carretto a disposizione. È un viaggio lungo e pericoloso, nonostante il rischio di essere di nuovo catturati la speranza di tornare a casa vi dà forza.
Dopo tre lunghi mesi finalmente arrivate a casa e incontrate per la prima volta il vostro secondogenito Gustavo.
Giovanni invece vi trova davanti alla porta della camera da letto, al mattino presto. All’epoca non esistevano cellulari per informare rapidamente la famiglia del vostro ritorno. Così Giovanni, a soli 6 anni, comprende finalmente cosa significhi avere un padre.
Ora vi chiedo di immaginare Luigia, vostra moglie, la migliore sarta del paese. Rimasta sola e costretta a crescere due figli in un’economia devastata dalla guerra.
Lei è parte di una grande mobilitazione femminile chiamata a sostituire gli uomini anche come capifamiglia. E proprio così Luigia e sua madre, rimasta vedova durante la guerra del 15-18, crescevano assieme i due figli nell’attesa e nell’incertezza del ritorno di Alessio.
Durante la guerra hanno portato sulle spalle il peso dell’intera famiglia, lavorando nei campi, reggendo un’economia ormai giunta alla povertà. Non c’erano i grandi supermercati del giorno d’oggi, e per sopravvivere bisognava coltivare ciò di cui si aveva bisogno per cucinare.
Questo potere non si è fermato qua, la mia bisnonna Luigia come tutte le altre donne, ormai erano ben consapevoli della propria forza, che ha permesso loro di ottenere, nemmeno un anno dopo, il diritto di voto a fianco agli uomini nel 1946.
Grazie bisnonni, anche se non ho avuto la fortuna di conoscervi di persona, i valori che avete lasciato in eredità rimangono vivi in me e le mie sorelle. La vostra tenacia e integrità morale mi ricordano che di fronte alle difficoltà non sempre la via più semplice è quella giusta.
Vorrei ringraziare anche tutti voi per essere qui oggi a onorare questa memoria.
Alessio, Luigia, Giovanni e Gustavo, voi rappresentate ciò che l’Italia ha di più prezioso: il coraggio, la dignità e l’amore per la libertà.
Cara Maya, la tua testimonianza alla consegna delle onorificenze per le vittime del nazifascismo vale un libro di storia. Non solo, ci mette in ascolto della voce di questi straordinari protagonisti che, pagando prezzi altissimi, ci hanno consegnato gli strumenti per costruire un mondo nuovo.
Mi guardo attorno e molto di quello che accade mi procura dolore. Ho il timore che la mia generazione quegli strumenti li abbiano usati male, oppure col tempo li abbiamo lasciati logorare, arrugginire.
Tuttavia a noi vecchi le tue parole insegnano una cosa fondamentale, per la quale possiamo ancora cantare e nutrire la suggestione in un futuro pieno di vita e umanità: la volontà in un mondo migliore risiede in te, in tutti i ragazzi come te, in tutti quanti guardano alla nostra storia per capire quello che deve essere fatto e quello che non deve più ripetersi.
Per tutto questo, grazie, e un caro saluto ai nonni Marilena e Gustavo. E un pensiero di riconoscenza al bisnonno Alessio, nonché a mio zio Abele Colombo che ha dato il nome alla scuola di Monte Marenzo, e al mai dimenticato zio Vittorio che patì le stesse vicende che hai raccontato.