Etica e politica – 2^ parte
La prima parte è stata pubblicata l’8 luglio ed è consultabile al seguente indirizzo:
https://www.unpaeseperstarbene.it/2014/etica-e-politica-1ͣ-parte/
Una buona politica, un buon governo della cosa pubblica, deve tendere ad un costume etico. Considerato, pertanto, che non rubare attiene al comportamento morale dell’individuo, è necessario definire attraverso quali pensieri, azioni, strumenti, è possibile esercitare un ruolo politico improntato ad una visione etica.
In questa sede non possiamo che affrontare in minima parte il tema, vista la sua vastità e profondità, ma soprattutto i limiti del sottoscritto. Pertanto propongo una riflessione comune che parta da alcune parole chiave (ognuno può aggiungerne altre), declinate senza alcun ordine, perché tutte egualmente importanti.
Ritornare con uno spirito di servizio alla comunità e in modo gratuito, che non significa per il politico rimetterci di tasca propria, bensì che la politica non deve diventare il mezzo esclusivo per sbarcare il lunario, o peggio, per accumulare beni e opportunità per sé e i propri eredi.
Attualmente questo argomento non gode di eccessiva fortuna, però mi piace riproporlo in ogni occasione e invitare ad un approfondimento leggendo “Monologo partigiano sulla gratuità”, di don Luisito Bianchi (figura straordinaria scomparsa nel 2012). Il dialogo è rivolto al ministero della Chiesa, ma per la forza transitiva di alcuni principi è altrettanto utile nella gestione pubblica.
Però, non sono così ingenuo da concludere che la politica possa essere svolta solo dai nullafacenti, dai dilettanti e dai ricchi. I costi della politica non devono essere condannati a priori, perché la loro negazione ci fa correre il rischio di un esercizio del potere esclusivamente in mano alle oligarchie (l’intuizione politica di Pericle).
L’importante è non dare per avere (appunto: bisogna essere asimmetrici). La logica del dono non è solo quella contrattualistica dello scambio e della reciprocità, ma è piuttosto quella della gratuità e della generosità, della “festività dell’esistenza”, come dice il filosofo francese Paul Ricoeur.
LA GIUSTIZIA
Secondo John Rawls, figura eminente della filosofia morale e politica, la giustizia è la prima virtù delle istituzioni sociali. La giustizia nega che la perdita della libertà per qualcuno possa essere giustificata da maggiori benefici goduti da altri.
Essere buoni (astenersi dal peccato) non basta: essere giusti (esercizio del potere) e fare buone azioni è meglio (B. Russell).
Kant sostiene che la politica deve essere regolata dalla legalità, cioè dal rispetto di un sistema di norme, la cui norma fondamentale è il principio del rispetto delle reciproche libertà.
Facciamo un esempio, diciamo, casalingo. Se io frodo il fisco non solo compio un’azione contraria alla morale a cui dico di ispirarmi (settimo comandamento, non rubare), non solo commetto un’azione contraria al sistema legislativo che ci siamo dati, ma il mio agire al di fuori della giustizia sottrae al resto della comunità a cui appartengo, parte di diritti, di beni, di libertà dai bisogni.
IL RICONOSCIMENTO
L’etica in politica deve essere anche l’etica del riconoscimento.
Il riconoscimento dell’altro è la condizione per vedere la persona come portatrice di diritti e responsabilità: dal diritto all’esistenza a quello della cittadinanza, dalle libertà individuali sino alla responsabilità verso il contesto sociale e istituzionale. Il riconoscimento non solo fra individui, ma tra gruppi sociali e nazioni.
La relazione è la ragione stessa della politica, come di ogni altra attività umana, ed è permeata dal bisogno fondamentale per ogni soggetto di essere “riconosciuto”, che portato alle estreme conseguenze di nome fa amicizia e amore.
Il filosofo e sociologo francese Edgar Morin
ci ammonisce che “Nel momento più freddo della ragione ci occorre passione, cioè amore”. La passione è la forza che ci spinge ad amare, come conviene anche il teologo Vito Mancuso.
LA FINANZA
Giustamente la finanza gode di una pessima reputazione etica, soprattutto a causa della crisi economico-sociale che stiamo vivendo, la più grave dal dopoguerra.
Reputazione antica di millenni. Aristotele si scagliava contro l’usura, così come ammoniscono le regole ebraiche e le leggi islamiche. Tutti conoscono la reazione di Gesù contro i mercanti di denaro nel tempio;anche Solone e Giulio Cesare azzerarono i debiti dei cittadini soffocati dai creditori.
Eppure la finanza è indispensabile per la prosperità e il benessere delle nazioni, leva potente per la cultura, la scienza, per garantire le condizioni di vita primarie delle persone. Però il nocciolo è sempre lo stesso: un buon obiettivo non può essere scisso dall’azione necessaria per raggiungerlo e le conseguenze che questa comporta.
Ogni giorno siamo chiamati a scegliere tra opzioni dolorose dove è sempre la finanza a rappresentare il secondo corno del dilemma:
- si deve chiudere l’ILVA che provoca cancro nella comunità in attesa del risanamento, anche se lasciamo senza lavoro un’intera città?
- è possibile accettare la massimizzare inarrestabile della ricchezza, pur distribuita in modo giusto, se questo avviene a
discapito dell’ambiente e delle sue componenti irrinunciabili (Adam Smith, il padre dell’economia politica classica, non lo avrebbe permesso)?
- del denaro prestato correttamente (non ad usura), che consente al richiedente di realizzare il proprio piano di vita, oppure per finanziare i beni pubblici, è indifferente conoscerne la provenienza, indifferente sapere se è il frutto di intollerabili sfruttamenti, o di attività illecite (evasione fiscale, per esempio)?
La ricchezza senza regole, senza volto, impersonale e planetaria, non più legata ad un territorio e ad una etica del suo ruolo sociale, che non ha più alcun rapporto di responsabilità verso una comunità definita, produce distorsioni estreme, tra le quali è possibile individuare:
- il lavoro, quando c’è, è immiserito perché se ne nega il valore come forza creativa e identitaria dell’uomo, oltre che mezzo di sostentamento (su questo tema Karl Marx, sino ad ora, ha scritto cose definitive);
- la fine dello stato sociale universalmente accessibile, in quanto attività economica che nell’immediato non crea plusvalore, determina l’abbandono delle persone più fragili al loro destino (quasi una versione tecnologica della selezione naturale);
- il declino del ruolo di regolatore sociale svolto dalle istituzioni nate tra l’800 e il 1900, e affermazione di nuovi poteri oligarchici postdemocratici.
Allora è assolutamente necessario riprendere il controllo della finanza, affinché la sua etica risieda nella relazione tra doveri e conseguenze.
La valutazione etica non va verificata solo sulla massimizzazione dei profitti verso gli azionisti, ma sulle conseguenze che la massimizzazione determina sui rapporti sociali, le condizioni di vita dei componenti la comunità, l’ambiente, l’incremento della finanza illecita ecc. (AMARTYA SEN, filosofo ed economista indiano).
(2/continua)