Vivian Maier: una moderna Mary Poppins con la Rolleiflex
“Volevamo sapere chi si nascondeva dietro quel lavoro, ma avevo solo il nome di Vivian Maier: sarà una giornalista,una fotografa appassionata? Così ho cercato a caso su Google il suo nome e ho trovato solo l’avviso della sua morte, che era stato pubblicato giusto qualche giorno prima. Ho trovato un indirizzo tra le sue cose e dopo aver rintracciato il numero di telefono, ho chiamato e ho detto che ero in possesso dei negativi di Vivian Maier. La risposta è stata: “era la mia bambinaia”. La sua bambinaia? Perchè una bambinaia farebbe tutte queste fotografie? Ciò che quell’uomo mi ha detto mi ha profondamente stupito: era una solitaria, non sapeva nulla della sua vita amorosa, della sua famiglia, dei suoi figli, ma era stata una madre per lui. Tutto questo ha stuzzicato la mia curiosità”. John Maloof, dal film “Alla ricerca di Vivian Maier”
Già si parlava di Vivian Maier (New York, 1º febbraio 1926 – Chicago, 21 aprile 2009) da quando Howard Greenberg ha incominciato a promuovere le sue fotografie, ci racconta la storia di Vivian come qualcosa di incredibile. E’ stata scoperta nel 2007, grazie a John Maloof, anche lui americano, giovane figlio di un rigattiere.
Il ragazzo, volendo fare una ricerca su Chicago e avendo poco materiale iconografico a disposizione, decise di comprare in blocco in un’asta, il contenuto di un box zeppo degli oggetti più disparati. Mettendo ordine tra le varie cianfrusaglie (cappelli, vestiti, scontrini e perfino assegni di rimborso delle tasse mai riscossi), Maloof reperì una cassa contenente centinaia di negativi e rullini ancora da sviluppare. Dopo aver stampato alcune foto, Maloof le pubblicò su Flickr ottenendo un interesse entusiastico e i suoi seguaci, lo hanno incoraggiato a continuare la sua ricerca.
Vivian era una semplice tata che scattava tantissime foto, ma non foto qualunque e come si scattano oggi: i moderni selfy e le miriadi di fotografie che scattiamo quotidianamente e che poi lasciamo nel dimenticatoio. Le foto di Vivian Maier, oltre che a essere delle opere d’arte, sottolineano il suo acuto “occhio” per le inquadrature di paesaggi e persone “di strada”, di tutti i giorni. La cosa spettacolare è che ogni fotografia ha una sua storia: per dirla semplice, sono delle opere d’arte al primo scatto, senza altri tentativi.
E la cosa ancora più incredibile è che Vivian era consapevole del suo talento, ma non ha mai visto le sue foto!
Le foto riprendono i particolari della vita di tutti i giorni, particolari che molti di noi non vedono, ma che lei ha saputo valorizzare. Era una donna con una grande sensibilità (che può essere conseguenza del suo lavoro: fece da bambinaia a tantissimi ragazzi che possono testimoniare a riguardo). Nel film documentario che le è stato dedicato, i bambini, ormai diventati adulti, offrono la propria esperienza di quando Vivian ha fatto loro da tata.
http://www.mymovies.it/film/2013/allaricercadivivianmaier/
Nel film viene spiegato di come la “tata fotografa” camminasse tra le strade della città, scattando tantissime fotografie, fotografie come già detto, ben studiate e che avevano il preciso intento di riportare le varie sfaccettature dell’umanità.
Vengono riprese situazioni di miseria, di povertà, momenti di tenerezza di famiglie, innamorati; le varie personalità e attività commerciali della città.
Vivian aveva la capacità di “sfondare” con delicatezza e raggiungere la sfera intima del mondo, creando con esso delle relazioni indissolubili. E’ questo che la fotografia deve fare: vedere quello che i nostri occhi non vedono!
Gli scatti venivano fatti nel mentre la fotografa svolgeva il suo lavoro di bambinaia perciò, mentre si occupava dei bambini, la sua Rolleiflex scattava continuamente. La Rolleiflex era un tipo di macchina fotografica che, come si può vedere nell’immagine accanto, permetteva di scattare “inosservati”.
La nostra fotografa viene considerata una specie di raccoglitrice compulsiva di documenti, articoli di giornale. Le sue stesse foto sono dei documenti. Esse riportano la cronaca di quegli anni, senza molte parole, ma con uno singolo scatto: in quello scatto lo spettatore si fa subito un’idea della testimonianza che ha di fronte.
La Maier aveva un amore quasi compulsivo per la fotografia, sostenuto dallo studio dei libri, questo per dimostrarci che è importante anche il confronto con altri fotografi. Era uno scatto e basta, un amore e basta: il singolo scatto, a prescindere dal risultato. Aveva affidato lo sviluppo di alcuni rullini al laboratorio di quartiere, declinando un falso nome e per giunta maschile. Questi pochi elementi aumentano il mistero del suo personaggio affascinante.
La tata e le fotografie, le pellicole non sviluppate, l’urgenza di non apparire e di non vedere: incredibile!
Se riflettiamo un attimo, possiamo dedurre che tutti i fotografi sono come la nostra Vivian: vanno in giro, raccontano la storia della vita, le rinominano e le schedano sotto altre forme altre vesti, altri significati. La Maier non faceva altro che raccogliere delle immagini e, nello stesso tempo, sentiva di tenere accanto a sè le cose alle quali teneva.
Ma perchè non ha voluto pubblicare le sue foto? Nel film capiamo benissimo che Vivian fosse consapevole del suo talento. C’è stato però un tentativo di stampare gli scatti.
Ci provò infatti, in un laboratorio fotografico francese che produceva cartoline. Il suo tentativo non è stato portato a termine, perciò Vivian non ha mai potuto vedere i suoi scatti.
La sua vita e il suo lavoro coicidono direttamente con il suo essere fotografa. I suoi autoritratti sono capaci di raccontare un profondo dramma interiore.
Vivian si descrive come una sorta di “spia”: il fotografo in effetti è dietro un mirino e, con il filtro della macchina fotografica spia e rivela la realtà del mondo. Nello stesso tempo, la fotografia non racconta mai la verità. Chi è appassionato di fotografia ci fornisce un’interpretazione della realtà. Anche la Maier non era interessata a raccontare la verità assoluta, ma voleva raccontarci le sue storie, la sua di verità!
La sua forza infatti, non sta tanto nella costruzione dell’immagine, ma nel riprendere il suo aspetto di documentario. Si è resa perciò reporter dell’evoluzione del costume, della società e del consueto.
Insomma grazie a Maloof (il giovane ragazzo che ha scoperto la grande raccolta di Vivian), per averci fatto partecipi della sua scoperta. Diffondiamo lo spirito della Maier, divenendo i testimoni delle nostre verità e della nostra storia.
Quello che Vivian vuole farci capire è che la fotografia è un esercizio alla portata di tutti: lei era una semplice tata, ma attraverso il lavoro, la lettura, lo studio, il confronto, le critiche e i suggerimenti, ha saputo sfruttare il suo talento!
Accessibile non significa facile: le fotografie non si fanno con la macchina fotografica. Si fanno con la testa, con il pensiero, con le idee. La macchina fotografica è uno strumento, così come lo sono la penna, il computer e la macchina da scrivere. Tutti possediamo gli strumenti, ma è necessario raccontare storie interessanti e questo lo si può fare solo con una buona preparazione, il lavoro e il confronto.
Ricordo che, per gli appassionati di fotografia, il mese prossimo inizierà un corso di fotografia a Monte Marenzo. Le lezioni verrano proposte dal fotografo Giorgio Toneatto, con l’assistenza di Adriano Baracchetti (fotografi di UPper).
https://www.unpaeseperstarbene.it/2016/corso-e-laboratorio-base-di-fotografia/
Propongo alcune foto scattate da Giorgio Toneatto, subito dopo la visita alla mostra di Milano, dedicata a Vivian Maier.
http://www.formafoto.it/2015/09/prossimamente-vivian-maier-street-photographer-dal-19-novembre/