I mangiatori di ravizzone
La sede di Monte Marenzo era nella strettoia di via Colleoni.
Un seminterrato buio e umido, dall’aria cospirativa. Quando d’inverno si pippavano Nazionali con filtro e Muratti le scelte era due: o si apriva la porta e si gelava, o al chiuso il fumo finiva per annebbiare anche le discussioni politiche più limpide.
In questi giorni il gran parlare dell’Afghanistan mi ha fatto tornare al gennaio del 1980.
Da Bergamo venne nella sede fumosa un dirigente della federazione comunista a spiegarci le ragioni dell’intervento dell’esercito sovietico nel paese asiatico, avvenuto il mese precedente. Mentre il compagno illustrava il perché e il percome dei russi, mi sembrava di essere il più informato su quella lontana terra: avevo alcuni suoi francobolli con soggetti di uccelli e fiori capitati non so come nella mia raccolta.
Bisogna difendere, così iniziò la relazione il compagno di Bergamo, il processo di laicizzazione e democratizzazione della società afghana avviato dal presidente Nur Mohammad Taraki, assassinato in un colpo di stato. Bisogna impedire che l’islamismo integralista contagi le Repubbliche Sovietiche del Sud, e che gli americani ne approfittino per mettere piede in quell’area.
Man mano la relazione si dipanava vi trovavo anche dei ragionamenti di senso: aiutare i popoli oppressi, favorire il progresso, ecc. ecc. Dietro di me, appeso al muro, il ritratto del Che mi guardava con occhio fiero e severo, ma non mi faceva intuire come l’avrebbe presa questa storia. Dovevo arrangiarmi.
Poi una frase, forse dal compagno buttata lì con noncuranza, ma capace di restituirti in una sola battuta un’intera categoria di pensiero: …l’Armata Rossa e le forze democratiche afghane avranno ben presto ragione dei golpisti, quattro pastori che mangiano solo ravizzone.
Un’affermazione che mi suonò terribilmente offensiva, volgare. Ma come! Da ragazzi a primavera inoltrata non facevamo che mangiare erba cucca, però non è lecito neanche ora dire che eravamo delle capre. E la lezione dei mangiatori di riso del Vietnam, caro compagno, si è già dimenticata? Il Che forse sorrise, anche se disprezzò il mio silenzio. Alla scuola popolare avevamo discusso a lungo come le mazze ferrate non sempre abbattono le farfalle.
A seguito di questi eventi nel partito si formò una piccola falange detta dei kabulisti, dei filosovietici a prescindere, ultimi credenti di una più che agonizzante religione della Guerra Fredda. Amen.
I mangiatori di ravizzone finanziati dagli americani cacciarono i sovietici e presero il potere dopo dieci anni e migliaia di morti. Poi ci provarono gli Americani e i loro alleati (Italia compresa) a dare una lezione di democrazia a questo “Stato canaglia”. In queste settimane, dopo vent’anni e migliaia di morti, i mangiatori di ravizzone hanno cacciato a malo modo anche noi.
Sono passati quarant’anni, le questioni che si era pensato di risolvere con la mazza ferrata sono ancora tutte aperte, e drammatiche. Ora cerchiamo di non lavarcene le mani dell’Afghanistan, come se nulla fosse accaduto. Così come dovremmo avere attenzione verso tutti i popoli sofferenti. Mi chiedo: possibile che la nostra lunga e vasta cultura politica e diplomatica, i nostri strumenti economici e di relazioni internazionali, non sappiano farci giocare una partita dagli esiti più umani e creativi? Meno mazzate, meno spaccio di armi.
Comunque, confesso che penso con nostalgia a quelle serate fumose dove ci sentivamo di partecipare con passione alle cose grandi del mondo.
Angelo Gandolfi
Grande Angelo. Si parlava anche d Vietnam e d Angola. Ed eravamo giovani. Ma i giovani d oggi d cosa parlano mah.
Mi riconosco nella descrizione delle riunioni fumose che si tenevano nelle Sedi del Partito e che venivano moderate/ guidate/indirizzate dal ” compagno di Bergamo ” che la Federazione inviava puntualmente. Nella mia Sezione, a Vercurago, una sera anonimi avversari lanciarono passando dei sassi che infransero il vetro dell’ingresso e fortunatamente non casuarono danni ai presenti…la nostra Sezione da allora venne denominata la Sezione dei sassi. Ricordo di avere scattato qualche fotografia anche a Monte Marenzo ( di giorno e dopo aver fatto defluire il fumo ) e concordo sulla passione che animava tutte le nostre riunioni fumose ed affollate e che, è vero, cercavano di cambiare il mondo. Per chiudere mi confesso anch’io: ” mangiatore di ravizzone ” non pentito.
stupenda narrazione che mette in luce il nonsenso del credere in verità assolute. Grazie
viene riepilogato tutto qui:
“Sono passati quarant’anni, le questioni che si era pensato di risolvere con la mazza ferrata sono ancora tutte aperte”.
Oppure potremmo dire il cambiamento climatico non esiste, ma è pur vero che sono appena 20 anni (ma mi pare di più) che se ne parla perciò……..abbiamo tempo altri 20 anni per capire l’ idiozia dell ‘essere umano, ma son convinto che resterà come il Pakistan un nulla di fatto. del resto nelle altre parti del mondo continuano a morire di fame, E POCHI O NESSUNO dicono o fanno niente per cambiare. grande Angelo come sempre.
Emilio carissimo condivido ogni parola. Credo tu abbia colto il vero problema: bisognerebbe FARE, ma pochi fanno. Ci si accorge dopo 40 anni che forse dovevamo fare qualcosa. L’esempio sul clima che citi è purtroppo vero e in questi giorni alla conferenza dei giovani sul clima, la Youth4Climate, aperta a Milano, Greta Thunberg accusa i leader del mondo dicendo che sul clima “fanno solo bla bla bla”.
I giovani di oggi fra 20-30 anni non ricorderanno le sezioni piene di fumo, ma ricorderanno di avere avuto la mascherina mentre ci richiamavano alle nostre responsabilità. Intanto NOI continuiamo a vivere come se niente ci interessi: clima, disuguaglianze economiche, guerre e conflitti, fame …
Nello specifico Angelo ci ricorda (benissimo) quei tempi e la foto di Giorgio Toneatto che lo ritrae è un bel documento.
Grazie Angelo del ricordo ciao