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“Quando la legalità va in scena – Donne in prima linea”

Venerdì 13 ottobre alla Casa dell’Economia di Lecco. Sotto il palco ancora vuoto Marisa Fiorani racconta la sua vita e quella di sua figlia Marcella, uccisa in un bosco per impedirle di testimoniare in un processo a Lecce contro la Sacra Corona Unita. La donna vuole accanto a sé la nostra Aurora Spreafico. Le affida una lettera di Marcella per farla leggere al pubblico; è una lettera destinata alla sua bambina per quando crescerà, un messaggio d’amore e un viatico per come affrontare la vita, senza fare gli errori che invece lei ha commesso.

Quella di Marisa Fiorani è la prima forte testimonianza di una donna, una delle tante di “Quando la legalità va in scena – Donne in prima linea”, organizzata dal Centro di Promozione della Legalità della Provincia di Lecco che riunisce 17 scuole della provincia oltre che Enti e Associazioni del territorio.

Poi sul palco salgono Alberto Bonacina, che ha coordinato lo spettacolo, le attrici Aurora Spreafico e Giusi Vassena e la cantautrice Sara Velardo che ha accompagnato con la chitarra le letture sceniche.

Bonacina ripercorre gli ultimi giorni di vita di Paolo Borsellino, dalla morte del collega e amico Giovanni Falcone all’esplosione in via d’Amelio il 19 luglio 1992.

Giusi Vassena dà voce ad Emanuela Loi, agente di scorta che perse la vita quel 19 luglio insieme ad altri quattro uomini della Polizia. E sul palco salgono anche Benedetta Panzeri, di LeccoOnLine e che dialoga con Annalisa Strada, autrice del libro “Io, Emanuela. Agente della scorta di Paolo Borsellino” (Einaudi ragazzi 2016), scritto grazie alla collaborazione di Maria Claudia Loi, sorella della poliziotta.

Aurora Spreafico è invece Rita Atria, una ragazza di soli 17 anni morta suicida a Roma una settimana dopo la strage di via d’Amelio sentendosi tradita da quel sistema che non era stato in grado di proteggere il giudice che l’aveva spinta a collaborare con la Giustizia. L’interpretazione di Aurora, che già conosciamo per avere collaborato con noi nel teatro civile di “Io sono la mia opera”, è densa e commovente e coinvolge in modo particolare tutti gli spettatori.

Ed è proprio sulle sue ultime parole di Rita Atria che Sara Velardo conclude con la sua “‘ndrangheta”, il brano in dialetto calabrese (del suo primo disco “Migrazioni”), nato dalla rabbia e dalla sofferenza per il degrado di una terra meravigliosa rovinata non solo dalla mafia ma soprattutto dall’ignoranza e dalla rassegnazione della gente che dice: “e che dobbiamo fare noi?”.

La risposta l’ha data Marisa Fiorani all’inizio della serata e le donne sul palcoscenico: testimoniare, denunciare, non rendersi complici, fare il proprio dovere.

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